Le narrazioni della violenza sulle donne. Stefano Motta raccoglie i racconti degli abusi e femminicidi nella letteratura e nel mito
Il lungo processo che dal mito di Cerere e Proserpina porta alle percosse e alle uccisioni è qui spiegato alla luce di una lenta presa di coscienza
La violenza contro le donne, l’immagine di un femminile che proviene da molto lontano, il racconto che ne fa la letteratura dalle origini ad oggi sono il centro del recente libro di Stefano Motta, “Il dolore delle donne” (Ancora, 183 pagine, 14 euro). Il lungo processo che dal mito di Cerere e Proserpina, la madre dolente e la figlia rapita dal principe delle tenebre, porta alle percosse e alle uccisioni è qui spiegato alla luce di una presa di coscienza che lentamente ha permesso di rintracciare le origini di tanta violenza.
È soprattutto quando l’autore affronta il Manzoni del lento passaggio dal manoscritto del 1823, chiamato “Fermo e Lucia” fino alla cosiddetta quarantana, che ci si rende conto di quanto il libro sia importante per capire il rapporto strettissimo, più di quanto si creda, tra realtà e letteratura. Soprattutto per l’enunciazione delle fonti di un celebre episodio. E queste fonti ci parlano di violenze, stupri, uccisioni, menzogne e complicità nell’affaire Marianna de Leyra -in monastero suor Virginia Maria- che diventerà poi la Gertrude dei Promessi sposi. Un intricato avvolgersi di monacazioni forzate, amori proibiti, gravidanze, sospetti, delazioni, con gli esiti funesti in parte narrati nell’edizione del 1827 del romanzo, per poi essere appena suggeriti nella quarantana dal celebre “la sventurata rispose”.
Merito di questo libro è l’aver finalmente fatto scorrere sotto gli occhi del lettore non specialista il rapporto tra cronaca -che oggi chiameremmo giudiziaria- , costumi dell’epoca (il Seicento), storia e cultura contemporanea. La quale ci permette di constatare come il desiderio possa diventare lentamente possesso e diritto di violenza, oltre che di vita e morte. Ma soprattutto suggerisce ai docenti di ogni ordine e grado come far riscoprire agli studenti le pagine della letteratura che potrebbero aiutare a capire e a combattere questa violenza.
Senza contare che Motta mette in evidenza un particolare non sempre considerato dalla critica manzoniana: la molla che fa scattare tutto il meccanismo narrativo non è un don Rodrigo infatuato, non sia mai innamorato, o incapricciato di Lucia, ma una misera scommessa con il conte Attilio, come a dire: scommettiamo che la prendo e poi butto via come uno straccio?
Ma non solo Manzoni: “Il dolore delle donne” ricorda Giovanni Verga, non esattamente un progressista in politica, che nella novella “Tentazione!”, siamo nel 1883, racconta come la bellezza e la seduttività possano essere scambiate per un invito alla consumazione veloce senza permesso. Ed è così che il grande scrittore, sulla scorta di fatti di cronaca, racconta lo stupro di gruppo e l’eliminazione fisica di una poveretta colpevole di passare in un luogo solitario nel momento sbagliato.
In un’epoca in cui, lo racconta stavolta Pirandello in “La verità”, non solo una donna viene uccisa dal marito, ma la stessa scusante, allora, del delitto d’onore, fosse a sua volta tragicamente appesantita dalla notorietà del tradimento. Se qualcuno non avesse parlato e denunciato, visto che l’amante della consorte era un riccone, la cosa sarebbe passata sottotono. Pirandello racconta il processo all’uxoricida come una affermazione di dignità maschile, perché si deve “capire che l’uomo non può farsi beccare in faccia dalla gente”.
Ma molto altro è narrato in questo libro, dalle teorie dell’amore provenzale a Dante -e qui sarebbe stato necessario approfondire soprattutto il rapporto ideologico, in senso lato, e quindi anche nella visione dell’amore, con l’antico maestro Cavalcanti-, alla Madame Bovary di Flaubert, e poi Stendhal, Ibsen, Wilde, Woolf, Maraini, Morante e molte altre grandi presenze della letteratura che hanno denunciato, anche in epoche in cui era pericoloso, il diritto più o meno tacito di possesso e di violenza sulle donne.