«Le leggi da sole non creano occupazione»
Disoccupazione giovanile, jobs act, lavoro precario: sono i temi "forti" della campagna elettorale che i partiti in campo trattano in maniera molto differente. Sergio Rosato, presidente del comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio sul mercato del lavoro della Regione Veneto, ci spiega che: «E' necessario intervenire su tre aspetti fondamentali: il lavoro grigio, la disoccupazione giovanile, il rilancio dell'occupazione».
Quello del lavoro è uno dei temi principali della campagna elettorale, quasi sicuramente destinato a incidere in maniera importante sulla scelta degli elettori. I nodi sul tappeto sono tanti: disoccupazione giovanile, jobs act, lavoro precario. Proviamo a dipanarli con Sergio Rosato, presidente del comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio sul mercato del lavoro della regione Veneto.
Il jobs act viene considerato il responsabile della precarietà del lavoro. È così?
Il jobs act è l’evoluzione di un processo lungo, che paradossalmente è partito da una proposta interna alla sinistra col governo Prodi e che ha costantemente contrapposto l’ala riformista della sinistra a un’ala più radicale e protezionista che lo ha sempre considerato responsabile di un aggravamento delle condizioni dei lavoratori. Col jobs act si è cercato di completare un percorso e di sistematizzare la materia, promuovendo un sistema di protezione e di promozione sociale adeguato alla flessibilità. L’errore è stato quello di presentare il jobs act come un intervento decisivo per incrementare l’occupazione: che non cresce semplicemente intervenendo sulle tipologie per via normativa, ma soltanto sviluppando l’economia. Per stimolare un effetto positivo si è dovuto operare oltre il jobs act con la finanziaria, intervenendo in particolare sul costo del lavoro: una scelta che ha accelerato la ripresa occupazionale, che era in atto comunque, e che ha reso più convenienti le assunzioni a tempo determinato. Non va buttato, ma non si possono attendere miracoli per l’occupazione. Si dovrebbe intervenire su tre aspetti fondamentali: il lavoro grigio, la disoccupazione giovanile, il rilancio dell’occupazione.
La disoccupazione giovanile è il vero dramma. Come si dovrebbe procedere per uscirne?
Questo è un problema che si è radicalizzato in due modi completamente diversi: da una parte i giovani tra i 15 e i 19 anni e quelli che hanno proseguito gli studi fino ai 26 anni circa; dall’altra i “giovani non più giovani” che raggiungono i 40 anni e sono dentro il mondo grigio del precariato, del lavoro mal pagato, dei part time camuffati. Sui giovani è stato fatto un buon ragionamento prevedendo di rilanciare l’istruzione, quella tecnica, professionale, puntando sull’alternanza scuola lavoro e sulla formazione. Però non basta. Serve un intervento straordinario per i giovani che non comprenda solo gli sgravi contributivi ma consideri una massiccia quota di lavoro riservato a loro, soprattutto nel pubblico impiego. Senza un piano straordinario per queste categorie non si può affrontare in modo serio il problema della disoccupazione giovanile. Servono fondi straordinari per gestire l’esubero dei lavoratori anziani e favorire l’accesso ai giovani, come è stato concesso ad esempio alle banche. Si può fare a costo zero, utilizzandolo anche come strumento di riorganizzazione e riforma della pubblica amministrazione unitamente all'uso delle nuove tecnologie».
In generale come si rilancia l’occupazione?
Lo scontro oggi è tra chi rifiuta questo modello economico, accusandolo di creare disuguaglianze e nuove povertà, e chi sostiene che non si può rifiutare, ma che bisogna intervenire per correggerne gli effetti distorsivi. Sono due modelli: uno risarcitorio, che sostiene la necessità di garantire un reddito a tutti, l’altro inclusivo, che punta all'alleanza tra mondo dell’impresa e lavoro basata su nuove relazioni industriali e che scommette sull’innovazione tecnologica e sociale. Certo occorre rilanciare gli investimenti, quelli che creano valore aggiunto, ma come sarà possibile finanziarli? Genericamente si parla di spending review, di taglio alle spese improduttive, ma potrà funzionare solo se saremo credibili in Europa.