La sanità nelle nuove trincee. Aumentano le violenze verbali e fisiche contro i sanitari anche in Veneto

Le violenze verbali e fisiche sono in aumento anche in Veneto, dalle 220 del 2020 alle 2.229 dell’anno scorso. «Ci vuole un reset» e cultura del rispetto da parte dei pazienti

La sanità nelle nuove trincee. Aumentano le violenze verbali e fisiche contro i sanitari anche in Veneto

«Nel nostro pronto soccorso la media è di 4-5 aggressioni verbali al giorno, peggio ancora se sotto il camice c’è una donna. La violenza contro i sanitari non è di un Paese civile». A parlare è Vito Cianci, dal 2019 direttore dell’Unità complessa Accettazione e del pronto soccorso dell’Azienda ospedale Università di Padova che opera, in comune con l’ospedale Sant’Antonio, in città estendendo la competenza, per i casi che richiedono centralizzazione sanitaria, a tutta la provincia e, per patologie specifiche, anche in ambito regionale ed extraregionale. «Il problema non è dovuto, sempre o soltanto, alla carenza di personale dei servizi di emergenza e urgenza – prosegue Cianci – Nella nostra unità attualmente operano trenta medici specialisti, quanti ne sono previsti in pianta organica, 65 infermieri e 15 operatori socio-sanitari che ricevono tra i 260 e i 350 pazienti al giorno. La causa reale sta, piuttosto, in una sottocultura o non cultura dilagante, e non solo in sanità. Purtroppo non ci sono più il rispetto, tanto meno l’apertura al dialogo e la fiducia nell’operatore sanitario. Il Covid-19 ci ha lasciato in eredità una società sempre più animata da paura, disagio, incapacità di attendere». Nel dibattito di queste settimane sull’escalation di aggressioni, fisiche e verbali, al personale della sanità, l’analisi del dottor Cianci è un profondo atto di denuncia prima di tutto nei confronti del venir meno del rapporto di fiducia totale che c’era un tempo tra medico e cittadino. La voce del direttore del pronto soccorso arriva da uno dei luoghi definiti “nuove trincee”. In prima linea, come emerge dai dati dell’Osservatorio sul fenomeno istituito dal ministero della Sanità sei anni fa, ci sono medici, infermieri, operatori dei primi luoghi di frontiera negli ospedali: le aree di degenza, seguite dai reparti di pronto soccorso e dagli spazi riservati al servizio psichiatrico di diagnosi e cura. Secondo l’Osservatorio i più colpiti sono gli infermieri: 1.391 l’anno scorso, a fronte dei 412 operatori sanitari e dei 291 medici. Nel 2023 in Italia le segnalazione sono state sedicimila e diciottomila operatori sanitari vittime di minacce o violenze. Anche in Veneto i casi di violenza negli ospedali e nelle strutture sanitarie sono quotidiani: più di sei al giorno, uno ogni quattro ore recita la media con un trend in aumento. Dai 220 del 2020 si è passati ai 663 del 2021, poi 883 nel 2022, fino ai 2.229 dell’anno scorso. Quasi tre volte su quattro, sia a livello nazionale che veneto, si è trattato di aggressioni verbali, che però non di rado trascendono nella violenza fisica. L’aggressore per la maggior parte delle volte è il paziente stesso, che però “spesso” viene sostituito da un suo parente o conoscente. «Lo scorso anno in Azienda – prosegue Cianci – le aggressioni sono state 227, il doppio dell’anno precedente: 97 si sono verificate all’ospedale Sant’Antonio, 180 in Azienda ospedale Università di Padova. Le aggressioni verbali (187) hanno superato quelle fisiche e tra le cause, nel 20 per cento dei casi ha influito l’alterazione per abuso di sostanze, 89 episodi sono esplosi senza che contribuisse alcun fattore ambientale, il rimanente per disaccordo del paziente sul percorso assistenziale, e altri fattori organizzativi indipendenti». Proprio a partire da questo, Cianci indica una possibile via di uscita: «La cultura del rispetto è l’asse portante della nuova strada da intraprendere secondo la rappresentazione di un vero e proprio reset, come quello che mettiamo in atto per i nostri pc. Tutti gli stakeholder devono fare un reset. Non è concepibile che qualcuno possa esercitare una qualsiasi forma di violenza contro un operatore sanitario che in quanto tale è un “bene pubblico”, a disposizione della comunità. Fare del male a un operatore sanitario vuol dire fare male a una persona, un professionista che viene offeso nell’esercizio della propria attività e al contempo sottratto dal suo compito di provvedere all’assistenza degli altri pazienti che hanno bisogno. Vuol dire sottrarre una risorsa al bene pubblico. Ecco perché la tolleranza deve essere zero. La violenza contro i sanitari non è di un Paese civile». Il discorso abbraccia non solo il mondo della sanità, ma l’intera società in toto: «Se siamo imbrigliati in un problema di non cultura questo non riguarda tutta la popolazione, ma solo una parte. La maggioranza delle persone è civile e rispettosa e deve essere assolutamente considerata tra quegli stakeholder che devono contribuire a denunciare e isolare i violenti, dissociandosi apertamente». In prima linea, con iniziative in tutti i presidi ospedalieri e distretti, anche l’Ulss 6 Euganea. «L’abuso, la minaccia, le aggressioni fisiche e verbali in circostanze lavorative – sottolinea il direttore generale Paolo Fortuna – hanno conseguenze importanti sul piano del benessere e della salute psico-fisica con gravi ripercussioni sulla qualità della vita in generale e sul senso di sicurezza lavorativa ed esistenziale. Dal 2018 al 2022 si sono verificati in Ulss 6 un totale di 340 aggressioni verbali e 199 fisiche, 13 infortuni per complessivi 42 giorni d’assenza. Una delle strategie più efficaci per affrontare il fenomeno è sicuramente diffonderne la consapevolezza tra gli operatori e promuovere con loro e per loro una formazione e una sensibilizzazione che diano strumenti utili alla prevenzione e alla gestione degli episodi di violenza, soprattutto nei contesti di emergenza». Dei numerosi episodi si è occupato anche l’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Padova e provincia: «Il precedente consiglio dell’ordine ha gestito 170 questioni disciplinari tra denunce, esposti e provvedimenti – afferma il presidente Domenico Crisarà – Quest’ultima consiliatura ne ha gestiti 412, di questi 229 sono state archiviate d’ufficio, mentre 156 sono state archiviate dopo la prima audizione. Questi numeri rappresentano un malessere concreto. All’interno della professione di medico, che è molto diversa dalle altre, c’è un conflitto ingiustificato e dovuto, spesso, alla solitudine che i medici vivono anche all’interno di strutture organizzate. Ed è su questo che dobbiamo lavorare per riacquistare dignità, ruolo sociale ed economico che ci spetta».

Lanzarin: «Siamo ai tavoli con sigle e prefetture»

A margine della conferenza stampa di presentazione dei programmi regionali sull’Alzheimer, martedì 17 settembre, l’assessore regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin, ha risposto sul tema delle aggressioni sul personale sanitario e sulla carenza di medici in 700 aree del Veneto: «Quello della violenza è un tema culturale, noi come Regione siamo presenti in tutti i tavoli preposti, tra cui forze dell’ordine, prefetture e le varie sigle sindacali, per sviscerare l’argomento e pensare a come coinvolgere il cittadino rispetto all’approccio che ha nei confronti di medici, infermieri.

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