La riforma della giustizia: un passaggio fondamentale per la ripresa dopo la pandemia
Le riforme strutturali sono assolutamente necessarie, ma anche in questo campo restano decisivi i comportamenti e le responsabilità di ciascuno.
Il riordino del sistema giudiziario è una delle riforme “di contesto” che il Piano nazionale di ripresa e resilienza individua come presupposto indispensabile per il perseguimento dei suoi obiettivi. Del resto sono anni che gli organismi internazionali, in sintonia con i più avvertiti esperti italiani, mettono in evidenza come i problemi strutturali del funzionamento della giustizia rappresentino una zavorra pesantissima per l’attività economica del Paese e un ostacolo talvolta insuperabile per gli investimenti dall’estero. Gli impegni del piano sono ambiziosi. Per stare soltanto alla questione della durata dei processi, si indica come traguardo una riduzione del 40% dei tempi nel settore civile e del 20% in quello penale. Propositi analoghi sono stati enunciati innumerevoli volte da governi e maggioranze di ogni tipo e colore, con esiti purtroppo non risolutivi, ma stavolta i tempi di verifica, se si considera la complessità della materia, sono stretti: approvazione entro l’anno dei disegni legge di delega al governo ed emanazione dei decreti legislativi di attuazione entro il 2022. Per accelerare ulteriormente, in alcuni casi l’esecutivo potrebbe agganciarsi ad alcuni provvedimenti già all’esame delle Camere. La molla finanziaria – l’erogazione dei fondi europei è strettamente collegata allo stato di avanzamento dei progetti – riuscirà dove finora la sola volontà politica si è arenata? Basterebbe questa sfida per dimostrare come il Pnrr sia un’occasione storica per sciogliere alcuni nodi di fondo che condizionavano la vita del Paese da ben prima dell’esplosione della pandemia. E non soltanto dal punto di vista economico.
La riforma della giustizia è un tema estremamente delicato per le sue implicazioni costituzionali e per le sue concrete ripercussioni sulla libertà e la sicurezza delle persone. L’ordinamento giudiziario dice molto sul tasso di civiltà e di democrazia di un Paese. Gli interventi di riforma che lo riguardano, infatti, investono direttamente i diritti e i doveri dei cittadini e chiamano inevitabilmente in causa la definizione dei rapporti tra i poteri dello Stato, perché se è vero e sacrosanto che i giudici debbano essere soggetti soltanto alla legge, dev’essere altrettanto chiaro che il compito di fare le leggi spetta al Parlamento. La presenza di un ministro della giustizia di speciale autorevolezza e competenza come Marta Cartabia, ex-presidente della Corte costituzionale, è sicuramente un fattore che favorisce il dialogo e la ricerca di soluzioni equilibrate e condivise. Rendono invece tutto più difficile (e allo stesso tempo ancora più urgente) le notizie che si susseguono a proposito di scandali in cui sono coinvolti magistrati anche di primo piano. Notizie che non possono non turbare profondamente l’opinione pubblica. Il rischio è che ne risulti delegittimata la stessa amministrazione della giustizia, con un danno enorme per il Paese e l’ingiusto oscuramento del servizio svolto con dedizione e onestà dalla stragrande maggioranza dei magistrati. Il punto è che le riforme strutturali sono assolutamente necessarie, ma anche in questo campo restano decisivi i comportamenti e le responsabilità di ciascuno. Ai magistrati è richiesta ancor più che ad altri soggetti una rigorosa coerenza tra vita personale e immagine pubblica. Ce lo ricorda in modo esemplare la vicenda di Rosario Livatino, il giovane giudice siciliano ucciso dalla mafia in odio alla fede e dichiarato beato dalla Chiesa cattolica. Un martire in senso stretto la cui testimonianza umana e cristiana interpella tutti perché – sono sue parole – “quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.