La protesta pacifica dei cattolici a Yangon in preghiera e con il rosario in mano
Anche i cattolici per strada. Ieri e nei giorni scorsi, si sono svolte manifestazioni pacifiche a Yangon e in altre città del Paese a sostegno di chi chiede la liberazione di Aung San Suu Kyi e di tutti i prigionieri politici e il ritorno alla democrazia. 15 ambasciatori firmano una Dichiarazione chiedendo alle forze di sicurezza di astenersi da ogni forma di violenza: “Il mondo vi sta guardando”. E il cardinale Bo cita Oscar Romero: “Un vescovo potrà morire, ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non perirà mai”
Suore, preti, laici cattolici si sono uniti alle proteste del popolo del Myanmar contro il colpo di stato militare del 1 febbraio. Ieri, a Yangon, centinaia di cattolici, comprese moltissime suore, hanno marciato pacificamente per le strade della città dalla Chiesa di Fatima alla Chiesa di San Francesco recitando preghiere e con il rosario in mano. Stessa cosa è avvenuta nella diocesi di Kengtung l’11 febbraio mentre ieri nella roccaforte cristiana dello Stato di Kachin, le suore stavano all’ingresso di una chiesa con in mano cartelli che recitavano “No alla dittatura” e “Ascolta le voci della gente”, a supporto dei manifestanti che riempivano le strade di Myitkyina, la capitale dello Stato. A scendere per strada sono stati soprattutto i giovani che inneggiavano a “Free Aung San Suu Kyi” e “We support CDM”, in riferimento al movimento di disobbedienza civile.
A seguire le manifestazioni, rilanciandole con foto e messaggi sui social è il cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente dei vescovi del Myanmar che questa mattina su twitter rilancia l’importante Dichiarazione firmata dagli ambasciatori Usa, Regno Unito, Canada, Svizzera e dalla delegazione dell’Unione Europea con gli Stati membri di Italia, Danimarca, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Olanda, Spagna e Svezia. La Dichiarazione è stata resa pubblica mentre immagini in live streaming condivise sulle piattaforme dei social media prima del blackout di Internet mostravano veicoli militari e soldati ovunque. “Chiediamo alle forze di sicurezza – scrivono gli ambasciatori – di astenersi dalla violenza contro manifestanti e civili, che protestano per il rovesciamento del loro legittimo governo. Condanniamo inequivocabilmente la detenzione e gli arresti continui di leader politici, attivisti della società civile e funzionari pubblici, nonché le molestie nei confronti dei giornalisti. Denunciamo inoltre l’interruzione delle comunicazioni da parte dei militari, nonché la restrizione dei diritti fondamentali e delle basilari leggi di protezione del popolo birmano. Sosteniamo il popolo del Myanmar nella sua richiesta di democrazia, libertà, pace e prosperità. Il mondo vi sta guardando”.
Le proteste anti-colpo di stato non si stanno svolgendo solo nelle maggiori città del Paese ma anche nei villaggi e negli Stati del Kachin e Chin. Secondo quanto riporta oggi “ucanews” – portale di informazione cattolica sull’Asia – la notte del 14 febbraio, le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco per disperdere i manifestanti a Myitkyina, secondo un filmato condiviso su Facebook. Ci sono stati scontri con i manifestanti anche a Kachin e la sera del 14 febbraio, veicoli blindati sono stati visti nell’hub commerciale Yangon, Myitkyina e Sittwe nello stato di Rakhine, secondo quanto riportato dai media. Internet in Myanmar è stato disattivato dall’1 di notte alle 9 del mattino del 15 febbraio.
Sempre su twitter, oggi, il cardinale Bo rilancia le parole dell’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero, ucciso da un sicario degli squadroni della morte per il suo impegno nel denunciare le violenze della dittatura militare del suo paese, e proclamato santo da papa Francesco il 14 ottobre 2018. “Chi ha voce, deve parlare per chi non ne ha” e “se arrivassero a uccidermi, potete dire che perdono e benedico coloro che lo hanno fatto. Magari si convincessero così che stanno perdendo il loro tempo! Un vescovo potrà morire, ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non perirà mai”.