La partecipazione è l’anima della democrazia. Riflessioni sulla partecipazione dopo la Settimana sociale

Trieste si è rivelata una miniera d’oro che chiede solo di essere scovato, estratto e messo in circolo. Sarà che per la 50a edizione la Settimana sociale dei cattolici italiani ha cambiato formula. Sarà che cambiati sono anche i volti e i nomi dei componenti il Comitato scientifico e organizzatore.

La partecipazione è l’anima della democrazia. Riflessioni sulla partecipazione dopo la Settimana sociale

Sarà che i grandi mutamenti politici e sociali in atto, non solo su scala nazionale, hanno riacceso l’attenzione di tutti sugli argomenti del vivere civile e della costruzione del bene comune. Di fatto, dunque, la partecipazione non è stata solo il tema al centro di relazioni e dibattiti a cui hanno partecipato i mille delegati dalle 220 Diocesi italiane (per la cronaca quasi metà le donne e un terzo i giovani), ma anche una realtà che si è manifestata ben oltre i confini giuliani, grazie alla copertura mediatica favorita dalla presenza del presidente Mattarella e di papa Francesco. Attendiamo dunque le linee guida annunciate per settembre: non c’è dubbio che in Italia, e non solo, c’è voglia di ritrovare un senso alle parole e alle decisioni e c’è un’effettiva voglia di partecipare. Almeno laddove l’offerta politica è all’altezza o dove la posta in palio è alta: vedi la corsa alle urne francesi, in piena estate, per il secondo turno delle legislative di domenica scorsa (quasi il 67 per cento). Ebbene, la ricchezza di questa Settimana sociale rende impossibile una sintesi, ma qualche riflessione è possibile farla già oggi. Partiamo con papa Francesco e il suo discorso ai delegati. In un passaggio del suo testo, si legge: «La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal fare il tifo al dialogare». Ecco, pensiamo che questo sia oggi un punto cruciale della dinamica della partecipazione, una dinamica che se si appiattisce sul tifo è malata e disfunzionale. La sensazione è che i maggiori partiti – e ancor prima i loro leader – coltivino nei cittadini (tesserati, simpatizzanti, semplici elettori) proprio questa attitudine al parteggiare e al tifare. Comportamenti ben diversi dallo schierarsi, dal prendere posizione, dal metterci la faccia. Parteggiare e tifare portano con sé una componente irrazionale, di pancia, che non può che nuocere all’amministrazione di organizzazioni complesse come sono il Governo di un grande Paese qual’è il nostro, di una Regione sviluppata come il Veneto, di una Provincia o di un Comune, sia esso anche molto piccolo. Oggi è necessaria la “giusta distanza” che permette l’analisi degli argomenti, l’applicazione ai dati, lo studio delle norme. Ed è a partire da queste competenze che è davvero possibile sviluppare il dialogo di cui parla il Santo Padre. Nel tifo non ci sono valutazioni, scelte, progettualità; ci sono cori, esultanze scatenate, sconforti profondi: tutte cose che danno sapore alla vita, ma non creano il futuro di un Paese. E a proposito di parteggiare e di affluenza alle urne ha parlato anche il capo dello Stato che in un discorso di alta portata si è interrogato sull’anima della democrazia, respingendone una visione meramente procedurale e organizzativa di una nazione. Mattarella ci ha riportato al significato quotidiano della democrazia, che si invera ogni volta che un cittadino esige un proprio diritto. E tuttavia – ha riflettuto il prof. di Diritto costituzionale prima ancora che il presidente della Repubblica – non può esserci una democrazia della maggioranza, nella quale chi ha il consenso può reprimere i diritti della minoranza o impedire di diventare essa stessa maggioranza. Troppe volte, anche nei piccoli paesi, in virtù di un voto in più ricevuto, chi amministra rischia di percepirsi come plenipotenziario delle sorti della comunità; l’elezione, più che a un servizio da svolgere pro tempore, pare introdurre in una dimensione in cui il confronto, il rendere conto, il soppesare le decisioni, anche al costo di cambiare la propria idea, vengono meno. Dunque, che senso ha un mandato se conferito da una parte minoritaria di coloro i quali hanno diritto a conferirlo? Ecco perché la partecipazione è un argomento che riguarda tutti, anche chi punta solo al voto in più, pur di governare.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)