La nostra madeleine. Uno studio sul meccanismo che collega gli input olfattivi ai ricordi
Un’ipotesi plausibile è che gli odori ritardino il passaggio di un ricordo alla corteccia prefrontale, preservandone così i dettagli più a lungo.
Passeggi per le strade, in campagna, al mare, in montagna, dovunque. E, inaspettatamente, un improvviso odore catturato dalle tue narici risveglia in te un vivido ricordo lontano, un’esperienza passata di cui puoi ricostruire molti particolari fino a renderla nuovamente presente. A chi di noi non è successo almeno una volta nella vita? E aldilà degli aspetti emotivi, vale la pena chiedersi come funziona davvero questo strano meccanismo, che persino la letteratura mondiale (Marcel Proust, “Alla ricerca del tempo perduto”, vol.1) ha voluto riconoscere e celebrare come potente mezzo per rievocare il nostro passato remoto.
Ha tentato di darne una spiegazione approfondita un gruppo di ricercatori dell’Università di Boston, coordinati da Steve Ramirez, con una ricerca – pubblicata di recente sulla rivista “Learning and Memory” – che ha analizzato alcuni meccanismi cerebrali fondamentali.
In generale, gli studiosi dell’acquisizione dei ricordi e della formazione della memoria di solito fanno riferimento al modello interpretativo fin qui più accreditato – noto come “teoria del consolidamento dei sistemi” -, in base al quale i nostri ricordi vengono elaborati dapprima nell’ippocampo (struttura cerebrale situata nella regione interna del lobo temporale), per poi essere consolidati nella corteccia prefrontale, (situata nella parte anteriore del cervello); ma in questo passaggio di consolidamento, normalmente, finiamo per perdere molti dettagli del ricordo stesso. Ed è proprio per questa ragione che, di solito, i ricordi tendono a confondersi col passare del tempo; ma ciò spiega anche perché da un lato i soggetti con danni all’ippocampo, spesso, non sono in grado di formare nuovi ricordi, pur conservando i più vecchi, dall’altro le persone con danni alla corteccia prefrontale non riescono a ricordare il passato.
Tuttavia, tale modello non riesce a dar ragione del fatto che molte persone riescono a ricordare particolari vividi di eventi accaduti anche molti anni prima, così come non spiega perché i profumi, anch’essi elaborati nell’ippocampo, sono in grado di rievocare ricordi lontanissimi, magari considerati perduti.
Per chiarire queste incongruenze, Ramirez e i suoi colleghi hanno condotto una serie di esperimenti su dei topi di laboratorio. Il primo giorno, agli animali posti in una scatola venivano somministrate delle leggere scosse elettriche, mentre, in contemporanea, erano esposti a un odore di mandorla. Il giorno successivo, i topini venivano rimessi nella stessa scatola, per evocare loro il ricordo dell’evento spiacevole: in questa situazione, si è potuta evidenziare una significativa attivazione dell’ippocampo, tanto nei topi esposti all’odore, quanto in quelli del gruppo di controllo, non esposti.
Trascorsi 20 giorni, invece, la stessa azione provocava negli animali un’attivazione nella corteccia prefrontale, a conferma della teoria del consolidamento dei sistemi, in entrambi i gruppi di topi. Con una differenza, però: il gruppo che era stato esposto all’odore di mandorla mostrava ancora una significativa attività cerebrale nell’ippocampo. A dimostrazione del fatto che la percezione dell’odore di mandorla durante la scossa elettrica ne aveva in qualche modo modificato il processo di consolidamento. “Questa scoperta – commenta Ramirez – suggerisce che possiamo influenzare l’ippocampo a tornare attivo, anche quando non ci aspetteremmo che lo sia perché il ricordo è troppo vecchio. L’odore può fare da innesco per rinvigorire o ridare energia a quella memoria ancora ricca di dettagli”.
Tuttavia, gli stessi autori dello studio ci tengono a sottolineare come il ruolo dell’odore nell’elaborazione della memoria non sia ancora stato compreso del tutto. Un’ipotesi plausibile è che gli odori ritardino il passaggio di un ricordo alla corteccia prefrontale, preservandone così i dettagli più a lungo. Se così fosse, sarebbe sufficiente che l’odore sia presente durante la formazione del ricordo affinché esso mantenga tutta la sua vivacità. Una seconda ipotesi, invece, accredita la possibilità che il ricordo che migra dall’ippocampo verso la corteccia prefrontale mantenga i dettagli più vividi dell’esperienza, dettagli che possono essere recuperati in seguito, qualora la persona percepisca lo stesso input olfattivo.