La fame nel mondo in calo del 30%, ma minaccia oltre 800 milioni di persone
Rispetto al 2000 la situazione è passata da grave a moderata. Ma servono almeno 70 miliardi di dollari per salvare 822 milioni di persone e 149 milioni i bambini. Presentato a Milano l'Indice globale della fame
MILANO - La buona notizia c'è, ma non bisogna cantar vittoria. La fame nel mondo è in diminuzione. L’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – GHI) registrato nel 2019 è pari a un punteggio di 20, è sulla soglia tra le categorie moderata e grave secondo una scala che tiene conto per ogni Paese nel mondo di quattro fattori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. Nel 2000 l'Indice era pari a 29 e rientrava nella categoria grave. Si è avuto dunque un miglioramento, con un calo del 30% della fame, ma la scarsa nutrizione resta comunque un problema per 822 milioni di persone (erano 795 milioni nel 2015) e sono 149 milioni i bambini vittime di arresto della crescita a causa della malnutrizione.
Il Global Hunger Index viene presentato oggi a Milano a cura del Cesvi e traccia un quadro comunque preoccupante, visto che i cambiamenti climatici stanno avendo effetti devastanti su sicurezza alimentare, biodiversità, risorse idriche, ecosistemi, suolo e produzione agricola, con conseguenze su larga scala ovunque. "Senza misure di adattamento entro il 2030 le rese mondiali dei raccolti diminuiranno in media del 2% per decennio, colpendo maggiormente le regioni più insicure dal punto di vista alimentare ed alimentando tensioni e disuguaglianze".
Il rapporto, dedicato alla “La sfida della fame e del cambiamento climatico", segnala l’urgenza di favorire percorsi di sviluppo che rispettino gli impegni presi nell’Accordo di Parigi e includano interventi di mitigazione, adattamento e sviluppo sostenibile: priorità alla resilienza e all’adattamento, miglioramento nella risposta alle catastrofi, trasformazione dei sistemi alimentari e azioni per mitigare il cambiamento climatico senza compromettere la sicurezza alimentare e nutrizionale.
Dal punto di vista economico i costi della denutrizione sono enormi: più dell’11% del PIL in Africa e Asia ogni anno. Per questo è necessario investire in programmi e politiche adeguati. Investire oggi in nutrizione ha un elevato ritorno economico e un forte impatto in termini di costi-efficacia: numerosi studi dimostrano che 1 euro investito in nutrizione genera un ritorno di almeno 16 euro. La Banca Mondiale ha indicato che è necessario un investimento addizionale di 70 miliardi di dollari per i prossimi 10 anni per raggiungere i target definiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla nutrizione, recepiti nell’Obiettivo Fame Zero dell’Agenda 2030.
In molti paesi i progressi sono troppo lenti per poter raggiungere entro il 2030 l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile SDG2 – Fame Zero fissato dalle Nazioni Unite; al ritmo attuale, infatti, circa 45 paesi non riusciranno ad attestarsi nemmeno ad un livello di fame basso. Le regioni del mondo più colpite dalla fame restano Asia meridionale e Africa a sud del Sahara. In cinque paesi la fame risulta tuttora allarmante - Repubblica Centrafricana - o estremamente allarmante - Ciad, Madagascar, Yemen e Zambia; in 43 dei 117 paesi per cui sono disponibili dati la fame è a un livello grave.
Secondo Gloria Zavatta, presidente Cesvi, “dobbiamo rafforzare le capacità dei più vulnerabili per una migliore preparazione e risposta ai disastri e agli effetti di un clima che cambia. Ma è necessario anche un ripensamento e una trasformazione dei sistemi di produzione alimentare, dei nostri modelli di produzione di energia e di consumo. Dobbiamo agire ora perché non c’è più tempo”. Per questo Cesvi ha lanciato la campagna #famedicambiamenti per sensibilizzare le persone su questi temi.