La connessione tra riscaldamento globale e perdita del sonno
I ricercatori dell'Università di Copenaghen per circa sei mesi hanno esaminato la durata e la qualità del riposo notturno di 47.000 persone adulte di 68 Paesi.
“Global warming”, riscaldamento globale. Ogni giorno ne percepiamo gli ingravescenti effetti, quasi sempre dannosi tanto per l’ambiente quanto per la salute e l’equilibrio delle specie viventi.
E noi umani, di certo, non siamo esenti da tutto ciò. Tra le tante conseguenze che l’aumento delle temperature e il cambiamento climatico stanno provocando sulle persone, infatti, figura anche un diffuso e significativo aumento della difficoltà di dormire, in parole povere una “ondata di insonnia” che sta interessando tutto il mondo.
Lo certificano i risultati di un recente studio (pubblicato sulla rivista “Cell”), condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Copenaghen, coordinati da Kelton Minor, che ha interessato ben 68 paesi in tutto il mondo. Il team di studiosi, infatti, ha potuto calcolare che provare a dormire quando la temperatura supera i 30°C significa perdere circa 14 minuti di sonno per notte. Per altro, plausibilmente, queste ore di sonno perse non saranno mai recuperate, stante il fatto che, secondo le proiezioni più accreditate, il nostro Pianeta… sarà sempre più caldo! E infatti, la scienza prevede che, entro il 2099, a causa delle alte temperature, potremmo perdere fino a 50-58 ore di sonno a persona per anno. Tutto qui? No.
Purtroppo, alla perdita di sonno è legata anche l’insorgenza di diversi disturbi di salute, come hanno dimostrato molti studi condotti in questi ultimi anni. In base ad essi, infatti, le notti calde (e quelle degli ultimi sette anni sono state le più calde mai registrate) peggiorano la qualità del sonno, mettendo a rischio la salute psicofisica e causando, per esempio, prestazioni cognitive e produttività ridotte, malattie cardiovascolari, depressione e obesità. Ora, la nuova ricerca di Minor e colleghi, per la prima volta ha messo in evidenza il fenomeno a livello globale, identificando anche chi sono, e dove vivono, le persone più colpite e quindi più a rischio.
Più in dettaglio, lo studio che i ricercatori dell’Università di Copenaghen hanno condotto per circa sei mesi, tra il 2015 e il 2017, ha esaminato la durata e la qualità del riposo notturno di 47.000 persone adulte di 68 Paesi, facendo loro indossare braccialetti per il monitoraggio del sonno. Mettendo poi in relazione i dati raccolti con i dati meteorologici locali hanno scoperto che, nelle notti più calde, le persone dormivano meno perché si addormentavano più tardi e si svegliavano prima. Quando poi la temperatura superava i 30°C, riposavano circa 14 minuti in meno a notte, in media circa 44 ore in meno l’anno. I ricercatori, inoltre, hanno registrato che la carenza di riposo a causa delle alte temperature era del 25% maggiore per le donne rispetto agli uomini e del 50% per gli adulti oltre i 65 anni.
Ma la disparità dei risultati riguarda anche la dislocazione geografica e sociale. In assoluto, infatti, a dormire peggio sono risultati gli abitanti dei Paesi a basso reddito, dove difficilmente ci si può rinfrescare con l’aria condizionata. “Poiché la perdita di sonno dovuta alle temperature estreme sarà avvertita sempre più in modo non uniforme in tutto il Pianeta, – ha commentato Minor – la ricerca futura dovrebbe concentrarsi sulle popolazioni più vulnerabili che vivono nelle regioni più calde, per prevenire e contrastare ulteriori disuguaglianze globali”.
Dunque, ora sappiamo che, a livello mondiale, il riscaldamento globale causerà in noi umani anche perdita di sonno e, di conseguenza, altri probabili problemi di salute. Tutto ciò si inserisce in un quadro generale di effetti climatici devastanti: i ghiacciai si fondono, i fiumi e i laghi si prosciugano, gli incendi divampano, la siccità mette in ginocchio le coltivazioni favorendo le migrazioni climatiche, molte specie animali sono costrette a spostarsi alla ricerca di nuovi habitat e anche le piante, a modo loro, si spostano per sopravvivere. E il caso di restare ancora inermi a guardare cosa succederà in futuro?