L’inflazione torna a fare paura. Per la prima volta in vent’anni c’è penuria di merci da offrire rispetto alla domanda globale
Fare contromosse significa alzare i tassi d’interesse, quindi finanziamenti e mutui più cari: una manovra che può raffreddare l’inflazione, ma anche la ripresa economica, dando oltretutto un vantaggio alla concorrenza.
Il divano nuovo? Arriverà a marzo, forse. E la cucina? Beh, “in primavera”. Se poi il neo-acquisto è l’automobile, allora non c’è data che valga: solo quelle in pronta consegna sono, appunto, in pronta consegna. Per le altre c’è da aspettare. Quanto? La risposta, così come per altri beni semi-lavorati o finiti, è la stessa: boh.
E nel frattempo i prezzi volano. Per la prima volta in vent’anni c’è penuria di merci da offrire rispetto alla domanda globale. Una carenza dettata dalla rottura delle catene di fornitura delle materie prime e dei semi-lavorati, rottura iniziata con la pandemia e mai “riparata”. Questa ha fatto salire i prezzi, anche in maniera ingiustificata: c’è ovviamente chi ne approfitta per guadagnare qualcosa di più.
Ma la spinta all’inflazione l’hanno data soprattutto i carburanti e il gas metano. Per ragioni varie, gli abbondantissimi idrocarburi hanno iniziato una corsa al rialzo dei propri valori di scambio, a cui non è certo estranea la grande speculazione finanziaria: quale splendido momento per sottrarre un po’ di denaro a tutti, per farlo finire nelle tasche di pochi?
E l’inflazione – sparita dal nostro orizzonte da anni – torna a fare paura. Gli americani lo hanno detto esplicitamente; gli europei sono ancora cauti, anche perché in Asia ancor oggi l’inflazione è quasi inesistente. Fare contromosse significa alzare i tassi d’interesse, quindi finanziamenti e mutui più cari: una manovra che può raffreddare l’inflazione, ma anche la ripresa economica, dando oltretutto un vantaggio alla concorrenza. Ecco perché la cautela è d’obbligo e la paura di sbagliare è notevole.
Nel 2008 l’allora presidente della Bce, il francese Trichet, alzò i tassi un minuto prima della grande crisi mondiale innescata dal crollo delle banche americane. Fu un disastro, l’Italia ci mise sei anni solo per rimettersi in piedi e fu decisiva un’altra scelta del successore di Trichet, Mario Draghi: il quantitative easing, l’acquisto senza limiti di titoli di Stato in euro che frenò la speculazione e il costo dei debiti pubblici dell’euro-zona.
Oggi siamo come quel paziente disteso sul letto, a cui i medici non sanno che medicina dare: entrambe le soluzioni possono guarire, come aggravare il male. Nel frattempo, guardiamo i medici con speranza mista a timore: sapranno fare la scelta giusta?