L’efficacia dei percorsi educativi rivolti ai ragazzi. Il voto di comportamento e le eventuali misure disciplinari come esito di un processo
Quali azioni educative e di prevenzione alla devianza, al bullismo, ai comportamenti violenti pensiamo di intraprendere nel nostro prossimo futuro?
Negli ultimi mesi si sono susseguiti, all’interno degli edifici scolastici e fuori, episodi gravissimi che hanno coinvolto giovani e giovanissimi.
La cronaca ha riferito di aggressioni ai docenti, di manifestazioni di bullismo, di violenze tra coetanei (in qualche caso dal tragico epilogo), di folli challenge, di cybercrimes. Nel dibattito che ne è scaturito sono emerse domande sull’efficacia dei percorsi educativi rivolti agli adolescenti, sulla genitorialità e sul ruolo dell’istituzione scolastica.
Lo scenario che abbiamo di fronte non è affatto confortante. I genitori appaiono deboli e disorientati, ostaggi dei sensi di colpa e di comportamenti contraddittori. La scuola è in una posizione sempre più minoritaria, portatrice di valori ormai desueti e decontestualizzati, in sostanza “non comprensibili” e quindi non “recepibili” dalle nuove generazioni, sopraffatte dall’universo social.
I contenuti veicolati da piattaforme come TikTok, Instagram, Twitter, ecc. costituiscono fonti di riferimento ormai quasi imprescindibili nella vita dei teenager. È il numero di like e visualizzazioni a conferire affidabilità e credito alle informazioni pubblicate, non la loro corrispondenza con la realtà.
Scuola e famiglia, poi, hanno ampiamente dimostrato la propria incapacità di stabilire una concreta alleanza educativa, orientata alla crescita e alla maturazione dei giovani, da realizzare anche attraverso la gestione del fallimento e delle frustrazioni. Al contrario, le due realtà tendono a contrapporsi, a giudicarsi reciprocamente e a restare impermeabili gli uni alle sollecitazione dell’altra.
Lo dimostrano le denunce, i contenziosi e i ricorsi sempre più frequenti.
Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, dopo essere intervenuto in merito al voto di condotta sorprendentemente “alto” assegnato dal Consiglio di classe a quegli studenti che, nel corso dell’anno scolastico, avevano “impallinato” la loro insegnante impegnata a far lezione alla cattedra, propone dei cambiamenti rispetto alla valutazione del comportamento degli studenti.
A partire dal prossimo anno scolastico il “peso” del voto in condotta dovrebbe cambiare. Sarà ripristinato, in termini numerici (attualmente viene espresso sotto forma di giudizio) alle scuole secondarie di primo grado e farà “media”. Alle superiori, dove invece è già numerico, farà riferimento all’intero anno scolastico, inciderà sui crediti per l’ammissione alla Maturità e, in caso di votazione pari a 6, genererà un debito scolastico in educazione civica. Il 5 porterà alla bocciatura. Il Ministro dichiara di voler rimettere al centro dell’azione educativa la “cultura del rispetto” e ripristinare “l’autorevolezza dei docenti”.
Le nuove regole interesseranno anche i provvedimenti disciplinari. Gli alunni “sospesi” saranno costretti ad andare a scuola, o presso strutture convenzionate, e verranno coinvolti in attività “rieducative”. Queste ultime potranno poi proseguire oltre la durata della sospensione. Ciò “al fine di stimolare ulteriormente e verificare l’effettiva maturazione e responsabilizzazione del giovane rispetto all’accaduto”, precisa il Ministro.
Tutto giusto, ma il voto di comportamento e le eventuali misure disciplinari rappresentano l’esito di un processo. Quali azioni educative e di prevenzione alla devianza, al bullismo, ai comportamenti violenti pensiamo di intraprendere nel nostro prossimo futuro? Prima di “valutare” un comportamento sarà il caso di “orientarlo” correttamente?
È la solita storia del dito e della Luna. Se non ci decidiamo a interrogarci seriamente come “comunità educante”, e quindi non solo come scuola o famiglia, in merito ai valori sui quali intendiamo fondare la società attuale e futura, sarà difficile che le cose cambino. Anzi, molto probabilmente, continueremo a scivolare nel degrado.
Servono investimenti: economici e morali. Servono politiche educative e giovanili. Servono spazi urbani dedicati all’aggregazione. Soprattutto occorre ricominciare a pensare all’educazione non come fatto “privato”, ma come “questione” che interroga in profondità il nostro cammino di civiltà.