L’aspetto “umano” dell’AI e degli algoritmi
Su alcuni profili social, dedicati a impresa e tecnologia, sta girando la foto di un cartellone pubblicitario di Blockbuster, il colosso del videonoleggio spazzato via dal digitale, che contrappone all’algoritmo di Netflix per la selezione di film e telefilm, il “callgorithm”, la possibilità, cioè, di telefonare a un addetto in carne e ossa che potrà consigliare al cliente cosa guardare.
La foto è accompagnata da una descrizione – in gran parte falsa – che colloca questo cartellone ai primi anni Duemila, creando così uno scenario troppo bello per non volergli credere: il dinosauro analogico (Blockbuster) che crede di resistere al meteorite dell’innovazione (Netflix) con quello che i giovani di oggi odiano di più, ovvero parlare al telefono con uno sconosciuto. La realtà è diversa: il cartellone è del 2020, risale ai mesi della pandemia, ed è stato realizzato da un’agenzia pubblicitaria per l’ultimo Blockbuster americano ancora in attività nello stato dell’Oregon. L’immagine suscita un po’ di tenerezza, ma ci fa pensare anche a molte delle nostre critiche al digitale e alle AI, secondo le quali basterebbe appellarsi all’unicità, all’irripetibilità dell’essere umano per contestare la crescita delle tecnologie, anche a costo di rinunciare a comodità ed efficienza. Contrapporre l’umanità all’innovazione comporterà la sconfitta dell’umanità. L’unica via, allora, è trovare una “via umana” per gli algoritmi.