L’amico non sta in un click. Snaturare l’amicizia non è un affare
Giornata mondiale dell’amicizia. Per l’Onu, dal 2011, il 30 luglio si celebra il «sentimento sublime» alla base di ogni relazione – tra persone e tra Paesi – capace di portare alla pace
«La peggiore solitudine non è non avere nessuno, ma l’amicizia per interesse». Tanti anni fa questa scritta occupava l’intero muro di uno stabilimento al mare. Chi l’ha scritto forse voleva solo sfogare una bruciante delusione, ma di fatto ha efficacemente sintetizzato il tarlo che oggi mina i sentimenti nobili, tra cui l’amicizia. “Non avere nessuno” ovviamente non è positivo, ma almeno rende esplicito l’isolamento, fa sperimentare uno stato di disagio, il quale porta a prendere coscienza del problema e può spingere a un cambiamento, magari verso la fiduciosa apertura agli altri. Vivere, invece, tra amicizie false, come quelle fondate solo sull’interesse, anestetizza dal dolore della solitudine, perché rassicura le persone nella pericolosa illusione di avere delle relazioni significative. In altre parole: sei solo in un mondo posticcio, ma non sai di esserlo. Nell’epoca delle passioni tristi, in nome della sicurezza totale e del rischio zero, vengono messi in circolo degli efficaci surrogati emotivi che popolano, spacciandosi per autentici, la comunicazione interpersonale sempre più virtuale. Un vero e proprio traffico di cattive monete effimere, le quali simulano e scacciano la moneta buona dei sentimenti. Nel caso dell’amicizia è in atto un vero e proprio processo di snaturamento. L’amicizia non può essere data o tolta con un click. Per coltivare un’amicizia ci vuole tempo, tutto il tempo che ci va. Parafrasando una canzone: non è questione di attimi, ma di anni. Al verbo coltivare si abbinano innanzitutto la pazienza e l’attesa, ossia il rispetto dei tempi dell’altro e la pronta accoglienza di novità. L’amicizia non usa il verbo avere, ma il verbo essere. Un amico o un’amica non è qualcosa o qualcuno che si colleziona nella propria lista online, più o meno esibita. L’amicizia non si possiede, non è un evento programmato, ma spesso un incontro inatteso con una persona sconosciuta, dove entrano in gioco la curiosità e la reciproca simpatia e cordialità. L’amicizia non è precaria, né a canone zero. È un legame forte che nasce da una reciproca libera scelta e che si nutre del piacere di stare insieme. Un legame libero e disinteressato, o meglio dove non c’è altro interesse se non stare con l’altro. Stare, cioè essere completamente presente all’altro. Tenere il cellulare in mano o sul tavolo spesso sta a indicare la difficoltà di abitare insieme all’amico il qui e ora, con la sua intensità e limite; quasi un’impellente necessità d’avere un motivo di distrazione, una via di fuga. Forse perché l’amicizia fa paura. L’amicizia, infatti, chiede fiducia e fedeltà. Chiede di confidare, prima ancora di confidarsi, in un’altra persona. In qualche modo si deve cedere sull’autoreferenzialità e affidarsi liberamente alle mani altrui: un tratto particolarmente inattuale, che ci strappa dalla nostra confort zone. Nell’amicizia il sospetto non ha casa, perché la sua presenza incrina e spezza il legame. Questa fiducia però non garantisce di evitare il dolore del tradimento, anzi rende la sofferenza particolarmente intensa, perché si viene toccati nell’intimità condivisa. Eppure sembrerebbe il giusto prezzo per non rinunciare a questo sentimento sublime. Sublime perché l’amicizia è un sentimento attribuito anche a Dio. Nella Bibbia, Abramo è detto «amico di Dio» e questi parla a Mosè come a un amico; anche Gesù chiama amici, non servi, i discepoli cui comunicò quanto apprese dal Padre. Riscoprire il sentimento dell’amicizia, a partire dal rinsaldare i legami esistenti, significa quindi guardare se stessi e gli altri sotto una luce nuova, dove il mondo appare meno ostile e sempre più il giardino di casa, e la sorella o il fratello occasione di un inatteso e fecondo incontro.
Stefano Bertin
Insegnante