Istat: battuta d’arresto per la produzione industriale. Segno meno in tutta Europa
Il calo della produzione industriale rilevato a novembre (-1,6% rispetto a ottobre, -2,6% rispetto a novembre 2017) è stato anche più intenso delle aspettative che pure non erano rosee. Bisogna tornare a ottobre 2014 per trovare un calo maggiore. Sulla produzione avrà anche pesato l'”effetto ponte” dovuto al posizionamento della festività del primo novembre – l'Istat lo ipotizza – ma si tratterebbe comunque dell'amplificazione di un dato che resta decisamente negativo
L’Istat parla di “marcata riduzione”, ma nel sobrio linguaggio dell’Istituto di statistica è un’espressione forte, che nel lessico giornalistico si potrebbe tradurre non arbitrariamente con “crollo”. Certo è che il calo della produzione industriale rilevato a novembre (-1,6% rispetto a ottobre, -2,6% rispetto a novembre 2017) è stato anche più intenso delle aspettative che pure non erano rosee. Bisogna tornare a ottobre 2014 per trovare un calo maggiore. Sulla produzione avrà anche pesato l’”effetto ponte” dovuto al posizionamento della festività del primo novembre – l’Istat lo ipotizza – ma si tratterebbe comunque dell’amplificazione di un dato che resta decisamente negativo. Peraltro in tutta Europa (e non solo) si registra il segno meno.
Nella Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana, diffusa contestualmente ai dati sulla produzione industriale, l’Istat crive che “nelle settimane recenti l’economia internazionale ha mostrato evidenti segni di decelerazione”.
Il processo incompiuto della Brexit e lo scontro sui dazi tra Usa e Cina sono i fattori principali alla base di questa tendenza. Ma ritrovarsi in compagnia non è un vantaggio per l’Italia, anzi. Basti pensare al fatto che finora la nostra piccola crescita è stata sostenuta soprattutto dalle esportazioni. E poi il nostro Paese si presenta davanti al rischio di un nuova recessione senza ancora aver recuperato pienamente i danni della precedente e con il macigno di un debito pubblico tra i più elevati al mondo, con un costo crescente per le finanze nazionali. Sempre l’Istat, alcuni giorni fa, ha certificato che la maggior spesa in interessi sul debito (circa 1,7 miliardi rispetto al terzo trimestre 2017) si è praticamente mangiata l’avanzo primario, cioè il risparmio che le pubbliche amministrazioni hanno realizzato nel medesimo periodo, come continuano a fare ormai da molti anni (a dispetto di quanto comunemente si pensi).
Il dato sulla produzione industriale in novembre si comprende con ancora più evidenza se si valuta l’andamento di tutto il 2018: tra gennaio e marzo eravamo a +3,4%, tra aprile e giugno eravamo già scesi a +1,9%, per finire in rosso (-0,1%) tra luglio e ottobre. Guardando ai diversi settori della produzione, tra i risultati di novembre si salvano soltanto l’agro-alimentare e il farmaceutico, mentre il comparto automobilistico precipita del 19,4% rispetto all’anno precedente.
Anche gli altri dati offerti dall’Istat in questo inizio d’anno concorrono a definire un quadro molto problematico. Nonostante un’inflazione molto bassa, sintomo della mancata ripresa dei consumi, il potere d’acquisto delle famiglie è sceso dello 0,2% nel terzo trimestre del 2018. I disoccupati, dopo due mesi di crescita, sono lievemente diminuiti (-25 mila unità), ma il loro numero risulta totalmente compensato dall’aumento degli inattivi (+26 mila unità), di coloro cioè che non hanno un lavoro ma neanche lo cercano. “Il processo di riduzione della disoccupazione appare ancora lento”, sottolinea l’Istat nella Nota mensile. Il commercio al dettaglio ha avuto un sussulto, trainato dalle promozioni del Black Friday che hanno fatto decollare gli apparecchi elettronici (+11,7%) e dall’inarrestabile incremento del commercio online (+22,4%). Ma è davvero poca cosa rispetto al quadro generale. E le prospettive dell’economia appaiono condizionate anche da una dinamica psicologica negativa.
“A dicembre – si legge nella Nota mensile dell’Istat – l’indice del clima di fiducia dei consumatori ha segnato un ulteriore calo diffuso a tutte le componenti: le aspettative per il futuro hanno registrato la diminuzione più sostenuta e le attese sulla disoccupazione sono aumentate. Nello stesso mese, anche la fiducia delle imprese è peggiorata in tutti i settori economici a esclusione del commercio al dettaglio. L’indicatore anticipatore ha segnato una nuova flessione, suggerendo il proseguimento dell’attuale fase di debolezza del ciclo economico italiano”.