In preghiera a Capitol Hill un anno dopo l’assalto al Congresso
Senatori democratici e deputati di entrambi i partiti si sono radunati su quella scalinata per ricordare chi quel giorno e nei giorni seguenti ha perso la vita per difendere il tempio della democrazia statunitense. Oltre quei gradini in centinaia hanno partecipato a quello che molti rifiutano di chiamare anniversario perché non ha nessun sapore celebrativo, preferendovi rimembranza, perché occorre far memoria e ricordare l’insurrezione che ha colpito il cuore del sistema istituzionale americano
Hanno pregato in silenzio e con le candele in mano sugli stessi gradini che il 6 gennaio 2021, sono stati violati dai sostenitori dell’ex presidente Donald Trump durante l’assalto al Campidoglio, per impedire la certificazione della vittoria del presidente Joe Biden. Senatori democratici e deputati di entrambi i partiti si sono radunati su quella scalinata per ricordare chi quel giorno e nei giorni seguenti ha perso la vita per difendere il tempio della democrazia statunitense. Oltre quei gradini in centinaia hanno partecipato a quello che molti rifiutano di chiamare anniversario perché non ha nessun sapore celebrativo, preferendovi rimembranza, perché occorre far memoria e ricordare l’insurrezione che ha colpito il cuore del sistema istituzionale americano. In molti reggono cartelli che esortano il Congresso a protegge il diritto di voto, sotto attacco in tanti stati a guida repubblicana.
“A nome di tutti i nostri colleghi della Camera e del Senato, celebriamo nella preghiera un anno dall’insurrezione e onoriamo patriotticamente gli eroi che quel giorno hanno difeso il Campidoglio e la nostra democrazia”, ha esordito durante la preghiera, la portavoce della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, aggiungendo: “Uniamoci tutti qui in un momento di silenzio in memoria di coloro che hanno perso la vita e si sono sacrificati così tanto per la nostra democrazia quel giorno”. Il vescovo episcopaliano Michael Curry ha invocato l’aiuto di Dio “in questi tempi difficili, per questa amata nazione” e per coloro che sono stati “traumatizzati, turbati, feriti”. “Veniamo davanti a te non con orgoglio o arroganza, ma veniamo davanti a te con vera umiltà” ha pregato il vescovo supplicando l’aiuto di Dio “per essere la democrazia che vorresti che fossimo, per essere la nazione che vorresti che fossimo: una nazione sotto Dio, indivisibile, che assicura libertà e giustizia per tutti”. Curry chiede poi a Dio la guida e l’aiuto per “essere strumenti della tua pace. Strumenti del tuo amore e strumenti della tua guarigione per questa terra, per questo Congresso, per questo governo, per le persone, per questo paese”.
Poi silenzio. Un lungo minuto dove le immagini dei rivoltosi che sfondavano finestre e porte, assaltavano le mura e aggredivano gli agenti con croci di legno e bandiere con scritte “Gesù è il mio Salvatore, Trump è il mio presidente”, scorrevano nella mente dei circa cento deputati e senatori sulle scale. Inni e invocazioni ben diversi dal canto “God bless America – Dio benedica l’America” cantato da una sergente dell’esercito a conclusione della veglia.
Pochi momenti prima i legislatori avevano ricordato, pubblicamente e in seduta congiunta, il terrore di vedersi sdraiati a terra, mentre la polizia con le pistole in mano cercava di porre un freno all’aggressione, ai vetri spaccati, alle bandiere confederate che non avevano violato quelle aule neppure durante la guerra civile.
L’ex vicepresidente Dick Cheney e la figlia Liz, sono stati gli unici rappresentanti del partito repubblicano che hanno partecipato alla cerimonia ufficiale della Camera, a prova della spaccatura politica del Paese. E mentre il presidente Joe Biden pronunciava uno dei discorsi più feroci del suo mandato, nei confronti del suo predecessore accusato di tenere un “pugnale nella gola della democrazia”, il deputato Dan Kildee, sollevando un vetro rotto che da quel giorno porta sempre con se a ricordare la brutalità di quei momenti, ha avvertito che il 6 gennaio “non è dietro di noi. La minaccia, e la menzogna che alimenta quella minaccia, continua ad alzare la testa in altre forme”.
Molti deputati hanno poi espresso, ancora con voce ancora tremante, gratitudine e onore alla polizia del Campidoglio per aver salvato la loro vita e preservato la democrazia.
Robert Pape, professore di scienze politiche all’Università di Chicago, esperto di sicurezza nazionale e internazionale, nell’intervista concessa alla rivista America, dei gesuiti, ha sottolineato che non vanno sottovalutate le convinzioni che hanno mosso i rivoltosi nell’assalto al Campidoglio e chiede ai leader religiosi di raggiungere questi americani sempre più a loro agio con l’uso della violenza politica.
Il professor Pape, che ha studiato a fondo gli avvenimenti e partecipanti all’assalto del 6 gennaio, insiste nel considerare gli eventi non come frutto di estremismi, ma di correnti di pensiero che sono “mainstream” e molto presenti nelle persone comuni. “Oltre la metà dei quasi 700 arrestati coinvolti nell’irruzione in Campidoglio sono titolari di aziende o colletti bianchi: medici, avvocati, architetti. Solo il 13% circa sono membri di milizie come gli Oathkeepers o i Proud Boys”, dichiara Pape, aggiungendo che in un momento di estrema polarizzazione servono luoghi di vero dialogo e “i leader religiosi, la chiesa, sono voci potenti nella comunità, nel mainstream per migliorare ciò che abbiamo di fronte a noi oggi”. Il professore insiste poi sul fatto che i leader religiosi non deleghino quanto accaduto all’Fbi o lo releghino a problema del partito repubblicano, ma piuttosto “che si uniscano alla missione di proteggere la democrazia a partire dai leader delle comunità, i più prossimi” perché le scintille del 6 gennaio 2021 non si trasformino, nelle prossime tornate elettorali, in incendio inestinguibile.