In Francia una crisi della verità. Il possibile ruolo dei cattolici
Dalle urne è emerso un elettorato diviso e manca una vera maggioranza per guidare il Paese. Ora un governo “olimpico”, per i Giochi a cinque cerchi, ma restano tutti i nodi della politica e la profonda crisi della rappresentanza. Se i cristiani hanno un ruolo nel periodo cruciale che vive la Francia, esso sta nel loro contributo a ripristinare un clima di ascolto, di rispetto dell’autorità eletta; è nell’invito, ora più che mai, a impegnarsi negli organismi intermedi e nella vita pubblica nazionale o locale
All’indomani del primo turno delle elezioni legislative, che ha visto un’ondata di voti portare i candidati del Rassemblement National (Rn), partito di estrema destra, in testa nella maggior parte dei distretti elettorali, il timore di moltissimi francesi era che questa stessa febbre ottenesse la maggioranza assoluta dei seggi all’Assemblea nazionale per il Rn, vale a dire più di 289 membri eletti, destinando il nostro Paese a un regime di “democrazia illiberale” per molto tempo a venire.
Non è stato così. Il Rn e i suoi alleati hanno ottenuto un totale di 143 seggi, ben lontani dai risultati che erano stati ipotizzati tra le due tornate, preceduti dal partito presidenziale Ensemble con 168 seggi, che ha così “salvato la situazione” pur subendo una pesante perdita di un centinaio di seggi, e superati dalla coalizione di sinistra Nouveau Front Populaire (Nfp). Pur essendo stata messa insieme frettolosamente, questa coalizione ha ottenuto 182 seggi. Si è costituita attorno a un programma per molti aspetti radicale in termini economici e sociali, un programma di “rottura” pensato per rispondere a un profondo desiderio di “giustizia sociale e ambientale”.
La logica del “Fronte repubblicano” ha funzionato, vale a dire fare tutto il possibile per garantire al secondo turno l’elezione dei candidati meglio piazzati per battere nei singoli collegi il candidato di Rassemblement National.
Ne è scaturito un gioco di desistenze reciproche, anche tra candidati appartenenti a famiglie molto diverse, che alla fine ha conquistato gli elettori della destra classica, del centro e della sinistra.
La Francia “repubblicana” tira un sospiro di sollievo. Inizia un periodo di governo politico senza precedenti per la Quinta Repubblica. Il presidente della Repubblica, dopo l’insediamento di un governo di transizione, senza dubbio molto provvisorio, per il periodo dei Giochi olimpici, dovrà designare tra le fila della maggioranza in Parlamento, il Nuovo fronte popolare, un nuovo primo ministro che formerà con lui una squadra di governo a partire da questa coalizione. La decisione potrebbe essere ancora più rapida se il Nfp si accordasse sul nome del primo ministro già questa settimana.
Poiché l’attuale Assemblea non potrà essere sciolta prima di un anno, la coalizione di sinistra sarà obbligata a promuovere “sul suo progetto o attorno ad esso” una traiettoria sociale, economica ed… europea, che richiederà di cercare compromessi con le forze centriste. È un compito arduo, dato che i nostri partiti in Francia non hanno questa cultura. Ma la situazione è diventata tale da costringerci a innovare, pena il rischio di dare ulteriori prove all’estrema destra che sia l’unica in grado di governare.
Al di là di questa analisi sommaria, che spero sia il più possibile imparziale, bisogna che, come cristiani, si vada un po’ oltre con il nostro giudizio e la nostra autocritica. Come siamo arrivati a questo punto? Come mai, da un’elezione presidenziale all’altra nel giro di 30 anni, l’estrema destra – con le sue convinzioni profonde che sono l’opposto della società libera e fraterna proposta da Papa Francesco – è riuscita a conquistare una frangia così ampia di connazionali, anche tra i simpatizzanti e i credenti cattolici?
All’indomani del primo turno delle elezioni legislative, Dominique Quinio (già direttrice de La Croix e presidente delle Settimane sociali dei cattolici francesi, ndr) ha parlato di un fallimento delle nostre istituzioni, in particolare dei partiti politici, che sono diventati insensibili alle reali difficoltà dei nostri concittadini della classe media.La crisi dei “gilets jaunes” avrebbe già dovuto metterci in guardia sul ripiegamento su se stessa della classe politica. Possiamo diagnosticare una crisi della rappresentanza politica, nel senso che molti elettori non si sentono “rappresentati” o considerati.I sociologi hanno parlato di invisibilità sociale. Ma al di là del sistema politico in sé, in Francia molti fattori si sono combinati per minare la fiducia nelle istituzioni. Di volta in volta, la scuola, la sanità pubblica e le autorità locali in particolare sono stati vilipesi in vari modi e i media, compresi quelli tradizionali, hanno rilanciato quella sfiducia che i nostri cittadini sono così bravi a nutrire.
Dai mezzi di informazione possiamo passare alle mediazioni e ai corpi intermedi. Secondo la saggezza cattolica, i corpi intermedi favoriscono la partecipazione al bene comune ed educano a costruirlo. Questi corpi intermedi non sono scomparsi: le associazioni sportive o caritative, i movimenti di educazione popolare, i vari sindacati, e naturalmente le Chiese e le comunità religiose, nonostante gli evidenti segni di indebolimento, rimangono molto presenti, e per fortuna. Ma il loro compito educativo è certamente reso più difficile che mai da quella che oserei definire una crisi della verità e del buon senso. Papa Benedetto XVI, in una complessa e senza dubbio incompresa enciclica, “Caritas in veritate”, pubblicata nel 2009, ha messo il dito su questa crisi della verità propria dei regimi democratici. Spiegava come l’abbandono dell’idea stessa dell’esistenza di una Verità comune da ricercare insieme abbia alimentato sia il relativismo, che mina ogni autorità, sia il populismo, che affida a una minoranza il compito di decidere cosa è bene e cosa è male.Queste considerazioni mi portano ad approvare l’atteggiamento prudente dell’episcopato cattolico francese nei suoi recenti interventi pre-elettorali,che ha invitato al libero discernimento, anziché brandire argomenti d’autorità del tutto inappropriati in un contesto di crisi di fiducia. Se i cristiani hanno un ruolo nel periodo cruciale che vive la Francia come nazione democratica, esso sta nel loro contributo a ripristinare un clima di ascolto, di rispetto dell’autorità eletta, di sfumatura nei dibattiti che riguardano le questioni molto complesse della giustizia sociale, dell’immigrazione e dell’integrazione; è nell’invito, ora più che mai, a impegnarsi negli organismi intermedi e nella vita pubblica nazionale o locale perché – guardando al passato – queste richiedono l’assunzione del rischio. Tale impegno è sostenuto dalla speranza cristiana, che non significa affatto pensare che le cose si risolveranno da sole, per grazia di Dio. Significa invece non perdere mai la speranza nella capacità interiore di cercare la verità e il senso della comunità.
Jérôme Vignon*
*presidente onorario delle Settimane sociali di Francia
[traduzione a cura di Sarah Numico]