In Colombia continua la guerra tra gruppi armati. Le alleanze? Nel nome del narcotraffico
L’alleanza tra cartello messicano di Sinaloa e le “nuove Farc” getta il dipartimento sud-occidentale della Colombia, il Nariño nel terrore. Soprattutto la zona a pochi chilometri con la frontiera ecuadoriana è in queste settimane nel vortice di continui scontri armati, causati dalla vera e propria guerra per il controllo del fiorentissimo mercato della coca e di altri traffici illeciti. Lo Stato risponde con le “fumigazioni” di glifosato, la Chiesa cerca di evitare il peggio
Si legge Nariño, si dice inferno. Si legge Tumaco, si dice guerra, terrore, impero della coca. Il dipartimento sud-occidentale della Colombia, il Nariño appunto, e soprattutto la zona vicina alla città di Tumaco, che si trova sul Pacifico, a pochi chilometri con la frontiera ecuadoriana, è in queste settimane nel vortice di continui scontri armati, causati dalla vera e propria guerra per il controllo del fiorentissimo mercato della coca e di altri traffici illeciti. Con una novità rilevante: l’alleanza (che non sorprende gli analisti più attenti) tra i “messicani” di Sinaloa, qui rappresentati dal cosiddetto gruppo dei “Contadores”, e la più recente dissidenza Farc, il “Bloque Occidental comandante Alfonso Cano”, erede dei battaglioni 20 e 30, che fa riferimento agli ex leader che pochi mesi fa hanno annunciato il ritorno alla guerriglia, primo su tutti Iván Marquez, il capo negoziatore agli accordi dell’Avana.
“Sempre Tumaco è stata zona di conflitto – spiega al Sir una ‘voce colombiana’ che chiede di restare nell’anonimato -. Ma il 2020 si annuncia come un vero e proprio anno di guerra”.
L’effetto visibile di questi scontri, nelle ultime settimane, è lo sfollamento volontario, il cosiddetto desplazamiento, di migliaia di persone: 600 quelle fuggite da Olaya Herrera; addirittura 4mila quelle costrette ad abbandonare, grazie a un corridoio assicurato dall’Esercito, i villaggi lungo il río Chagüí. Persone che si sono rifugiate a Tumaco, occupando una scuola, anche se proprio qualche giorno fa, sempre grazie allo “scudo” dell’Esercito, nel frattempo sceso in forze nel Nariño, hanno potuto tornare alle loro case. Fino a quando, non si sa. La denuncia circostanziata contenuta in un rapporto del defensor del pueblo, Carlo Alfonso Negret ha suscitato una risposta dello Stato, solitamente assente, e perfino il presidente Iván Duque ha fatto visita a Tumaco, mentre le autorità hanno dichiarato lo stato d’emergenza.
Duri scontri fra gruppi armati. Ciò che sta accadendo nella zona è significativo, per spiegare il post-conflitto colombiano nelle aree periferiche del Paese. Regioni dove la guerra non è mai finita, e la dissidenza Farc si è divisa in tre tronconi, come emerge dalla ricostruzione che emerge dal rapporto del Defensor del pueblo e dalle spiegazioni della nostra fonte anonima, che ci dice: “Bisogna sapere che, nel momento in cui c’è stato l’accordo tra Farc e Governo, la guerriglia ha escluso gli ‘afro’ dai programmi di smobilitazione e reinserimento”.
Una scelta che denuncia le sacche di razzismo ancora ben presenti nella società colombiana, e perfino nella storica guerriglia. Così, i militanti di colore, molto numerosi nel Nariño, hanno formato addirittura due gruppi armati: il Frente Oliver Sinisterra, che ha il proprio covo a Tumaco e che si è reso protagonista di numerosi scontri armati anche nel vicino Ecuador, e le Guerriglie unite del Pacifico. Contro di loro, i paramilitari capitanati da “Contador”, da qui il nome di “Contadores”, che controllano soprattutto la via che da Tumaco porta al capoluogo Pasto, alleati del potentissimo cartello messicano di Sinaloa. L’alleanza con le ex Farc del Bloque Alfonso Cano dimostra la rinnovata forza di quest’ultimo gruppo, che sta scendendo in forze dal dipartimento del Cauca, subito a nord. La dissidenza fa sul serio, se si pensa che ha fatto scalpore a metà gennaio, nel Paese, il progetto di attentato, nel dipartimento del Quindío, contro l’ultimo leader delle Farc, fedele invece all’accordo, Rodrigo Londoño Echeverri “Timochenko”. L’atto criminoso, sventato dalle Forze dell’ordine, è stato attribuito proprio alla dissidenza. L’ultimo attore armato è l’Eln, l’altra storica guerriglia marxista. Presente nel Nariño, ma poco a Tumaco, osserva il corso degli eventi. “Gli scenari sono due – spiega la nostra fonte –. O un grande accordo di spartizione, ma non è facile di fronte a tante contrapposizioni e ferite anche personali, oppure uno scontro cruento, come quello di queste settimane nel bacino del río Chagüí” .
Traffico di coca a livelli record.
In palio ci sono, ovviamente, i giganteschi proventi del narcotraffico. Dopo che tra il 2012 e il 2013 l’estensione delle coltivazioni era calata a 48mila ettari, si è assistito a una continua crescita, passando ai 69mila del 2014, ai 96mila del 2015, ai 146mila del 2016, fino ai 171mila del 2017. Il Nariño è uno dei territori dove l’aumento è stato più forte. Per questo, qui si gioca anche la nuova guerra che il presidente Duque ha dichiarato al narcotraffico: “E’ arrivato l’esercito, in forze e in assetto di guerra. E’ venuto Duque, con i rappresentati dell’Ambasciata degli Usa. Si parla di un investimento di 30mila milioni di dollari in tutta la Colombia, 5mila solo nel Nariño. Ma la risposta qui è solo militare, e il presidente intende riprendere la fumigazione dall’alto delle coltivazioni di coca con il glifosato, come negli anni di Uribe. Una prospettiva rigettata dalle autorità locali, preoccupate per la salute degli abitanti e i danni irreversibili all’ambiente”.
Anche l’Episcopato colombiano ha più volte espresso la sua contrarietà alla ripresa delle fumigazioni.
“Certo, serve anche la presenza armata dell’Esercito in uno scenario come questo. Spesso i gruppi armati costringono i contadini a coltivare la coca, e i leader sociali che vi si oppongono vengono spesso uccisi. Tuttavia, è necessario un investimento in progetti di sviluppo, in agricolture alternative. Altrimenti, la coltivazione di coca è l’unica attività possibile per i poveri campesinos”.
In uno scenario già difficile, non manca la presenza dei migranti venezuelani, visto che siamo nei pressi della frontiera con l’Ecuador. “Un gruppo, anche se non grandissimo, è presente a Tumaco, assistito dalle Ong. Ma ci sono gruppi nascosti nella foresta, soprattutto nella zona di Llorente. Molte donne si dedicano alla prostituzione, e così si è abbassato il prezzo ed è nata una guerra anche per i controllo di questa attività. Altri fanno i cargadores, trasportano 30 o 40 chili di pasta basica, Per viaggi di 3-4 ore, guadagnano 200mila pesos (circa 50 euro)”.
La Chiesa, in questo scenario fa il possibile: diocesi di Tumaco, parrocchie, i non molti missionari cercano di aiutare la popolazione terrorizzata, di dare un sostegno anche spirituale. Ma la sfida è improba.