Immigrati ma non troppo. I dati dell’ultimo rapporto Istat sui “Cittadini non comunitari in Italia” che presenta i dati relativi al 2020
Quando i media descrivono la tragedia degli sbarchi si riaccendono le polemiche sulla pressione esercitata sulle nostre strutture di accoglienza, ma quello che appare è un sistema che riesce a ospitare e in molti casi costruisce percorsi di integrazione positivi.
La pandemia è stata un filtro molto potente, che ha arginato i flussi migratori. In tutto il mondo sono stati ostacolati i trasferimenti e le persone sono rimaste bloccate. Purtroppo, i più fragili hanno pagato le conseguenze più alte. I migranti che avevano intrapreso il loro viaggio e si sono trovati nel mezzo del loro itinerario, le persone che fuggivano dal loro paese per le ragioni più disparate e che cercavano di iniziare una nuova vita sono rimaste ferme, imprigionate senza poter proseguire né tornare indietro.
Vediamo ora, che le misure di sbarramento si sono un po’ allentate la ripresa della mobilità, i nuovi arrivi e con esse il ritorno delle polemiche sull’accoglienza e sui limiti degli ingressi. D’altronde i flussi in ingresso erano diminuiti su tutti i fronti. Questo è uno dei risultati che appare in modo evidente dai dati dell’ultimo rapporto Istat sui “Cittadini non comunitari in Italia” che presenta i dati relativi al 2020. Non sono diminuiti solo i richiedenti asilo (tra loro si trova il numero più alto di persone che entrano in Italia con mezzi di fortuna), le cui domande sono diminuite tra il 2019 e l’anno successivo del 50%, ma anche quanti chiedevano di soggiornare in Italia per ragioni di studio (-58.1%), di lavoro (-8,8% e già al minimo da molti anni) o per motivi familiari (-38,3%).
Sebbene appena i media descrivono la tragedia degli sbarchi si riaccendano le polemiche sulla pressione esercitata sulle nostre strutture di accoglienza, quello che appare è un sistema che riesce a ospitare e in molti casi costruisce percorsi di integrazione positivi.
Un altro dato che emerge dalla rilevazione Istat è la diminuzione del numero complessivo dei cittadini non comunitari presenti in Italia: il 7% in meno. Il calo sarebbe da attribuire al continuo aumento delle persone che acquisiscono la cittadinanza del Paese. Nel 2020 si sono contati oltre 130mila nuovi italiani. Da un lato ci sono i tanti neomaggiorenni che, arrivato il momento di scegliere se mantenere la cittadinanza dei genitori o prendere quella italiana, optano per il Paese dove sono nati e cresciuti; dall’altra parte ci sono le persone che si sono stabilizzate da molto tempo (chiedono di diventare italiani molti marocchini e albanesi due delle comunità storiche in Italia) e quindi decidono di completare il loro percorso di integrazione. Sono proprio questi ultimi (il 48,5% dei casi) a incidere nel numero complessivo e con essi diventano italiani i loro figli, si legge nel rapporto, perché aumenta il numero di cittadinanza per acquisita per “trasmissione” (30,3%): diventati italiani i genitori, secondo il principio dello jus sanguinis, lo sono anche i loro discendenti.
I dati sull’acquisizione di cittadinanza ci parlano di un’Italia nei fatti pluriculturale che è capace di accogliere e di integrare le persone a prescindere dalla loro etnia, cultura o religione.