Il sogno di JP. La donna che prosegue il sogno del compagno di cordata scomparso: insegnare ad arrampicare ai bambini pakistani
Tamara sa quanto caro possa essere il prezzo di quest’autoresponsabilità e sa bene anche che la montagna, a volte, può essere molto esigente. Anche in termini di vite umane.
“Da sempre le montagne hanno affascinato noi esseri umani. A volte erano parte della storia di un eroe, di un successo, altre volte erano teatro di tragedie e vittime”.
All’indomani della tragedia della Marmolada, molti giornalisti l’hanno cercata per avere un suo commento. Ma lei, Tamara Lunger, “una sognatrice innamorata delle montagne”, ha preferito prendersi il tempo “per riordinare i suoi pensieri” e rimanere in silenzio. Fino a lunedì scorso, 11 luglio.
“Amo la montagna – ha scritto in un post su Fb la scialpinista ed esploratrice italiana, seconda donna a raggiungere, nel 2014, la vetta del K2 – anche se qualche volta mi ha portato al limite fisico e mentale. In montagna ho capito quali valori voglio trovare in questo dono della natura, senza scendere a compromessi, ed è proprio per questo che nel 2015 sono passata alle spedizioni invernali. Autoresponsabilità era quello che stavo cercando. Assumermi la responsabilità di ogni passo che faccio e di ogni decisione che prendo”.
Tamara sa quanto caro possa essere il prezzo di quest’autoresponsabilità e sa bene anche che la montagna, a volte, può essere molto esigente. Anche in termini di vite umane.
A gennaio dello scorso anno era partita piena di entusiasmo con il sogno di diventare la prima donna a conquistare il K2 in invernale. Ma la seconda vetta più alta del mondo, con i suoi 8.611 metri, non ha sorriso né a lei, né ai suoi compagni di spedizione, trasformando il sogno in tragedia. Il 16 gennaio 2021, nelle ore in cui 10 alpinisti nepalesi conquistavano la vetta, Tamara perde il suo compagno di spedizione, il basco Sergi Mingote. “L’ho visto volare giù. Era a 40 metri – ha raccontato al suo ritorno in Italia – non ho potuto fare altro che parlargli per circa un’ora, accompagnarlo nella maniera più dolce possibile alla sua fine”. Le condizioni sono estreme, ma Tamara non getta la spugna e si fa convincere da quello che fino al giorno prima era compagno di cordata di Mingote, il cileno Juan Pablo Mohr (che l’alpinista altoatesina chiama JP) a proseguire la spedizione in onore di Sergi. Qualcuno si ritira. Ma Tamara ed altri continuano a sfidare il freddo inverno del K2. Dopo pochi giorni, il 5 febbraio, Tamara perde altri quattro compagni. “Sentivo che qualcosa non andava, che la montagna mi stava respingendo”, ricorda Lunger. La 36enne decide di rinunciare alla scalata. Rimane nella tenda del campo 3 e poi vede i suoi amici partire nel buio per raggiungere la vetta della montagna, da cui non avrebbero più fatto ritorno. Secondo le ricostruzioni fatte successivamente, il bulgaro Adanas Skatov ha perso la vita precipitando per diversi metri, mentre gli altri tre (l’islandese John Snorri Sigurjónsson, il pakistano Ali Sapdara e il cileno Juan Pablo Mohr) sarebbero scomparsi per sempre sulla montagna.
“Con JP ci eravamo capiti subito – racconterà Lunger una volta rientrata in Italia – in lui ho scoperto un’anima gemella. Eravamo diventati inseparabili, abbiamo pensato alla spedizione da fare insieme. Ci facevamo forza a vicenda. Per entrambi è stato importante contare sull’altro. La morte di JP mi ha spezzato il cuore”.
A luglio dello scorso anno, a cinque mesi dalla tragedia del K2, Tamara è tornata in Pakistan. Ma non per ragioni alpinistiche. Ci è tornata, come ha scritto sulla sua pagina Fb, “a cuore aperto e con una missione”. “Lunedì 5 luglio è l’anniversario dei 6 mesi da quel fatidico giorno! Quello che poteva essere di grande gioia, invece è stato il giorno che ha cambiato tutto, portando con sé momenti davvero difficili, e dolore e tristezza. Mi sembra ieri e allo stesso tempo mi sembra una vita fa. Quello che resta invariato è quanto manchi JP! Anche Sergi, Alì, Jon e Atanas ovviamente! Ogni momento difficile e di dolore può portare con sé anche qualcosa di bello e in questo caso è questo: abbiamo deciso di prendere il testimone e portare avanti il progetto a cui JP Mohr teneva tanto: insegnare ad arrampicare ai bambini pakistani, nella Shigar Valley. Certamente per farli divertire, ma anche per garantirgli un futuro partendo dalle risorse della loro terra. Il progetto si chiama Climbing for a Reason!”. JP aveva scelto la cittadina di Shigrl, posta sulle sponde dell’omonimo fiume e punto di passaggio di molte spedizioni per il K2, per costruire una parete di arrampicata per aiutare la comunità (e in particolare le ragazze, spesso escluse per ragioni culturali) a sviluppare le proprie potenzialità.
“Mi dispiace davvero molto per le vittime della Marmolada – scrive oggi su Fb l’alpinista bolzanina, ‘tremando, perché queste righe mi toccano molto’ –. Ma il mio cuore soffre anche perché deve sempre esserci un colpevole. Accuse, denunce, sfoghi di rabbia… So quanto sia doloroso perdere una persona cara in montagna, ma non mi è mai venuto in mente di cercare qualcuno da incolpare. Anche nel caso di morti a 8.000 metri, dove tra l’altro si pagano 10.000 dollari per il permesso, non ci sarà mai né una chiusura della montagna, né un colpevole, perché è stata una nostra libera decisione andare lassù. Vorrei che in questo tempo, in cui siamo sempre più portati a cercare un responsabile (anche se non c’è nessuno), provassimo ad accettare il destino e quindi a concederci anche più pace nella nostra vita. Credo che il dolore sia sufficiente. Non abbiamo bisogno di altra negatività che ci appesantisca, perché purtroppo niente e nessuno riporterà in vita queste persone. Come alpinista, posso dire che noi europei possiamo essere grati. Grati per il privilegio e la possibilità di decidere liberamente quando e dove andare in montagna, perché purtroppo non è così dappertutto”.