Il papa al G7 sulle AI? In gioco c’è l’anima
«Da mihi animas, caetera tolle» (dammi le anime, toglimi il resto). Non ho potuto far altro che pensare al motto di san Giovanni Bosco lo scorso 26 aprile, quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato la presenza di papa Francesco al G7 nel corso della sessione dedicata all’intelligenza artificiale.
I rimbrotti di chi dice che la Chiesa dovrebbe occuparsi di anime e non di tecnologia vengono spazzati via da una semplice constatazione: oggi non c’è nulla di più centrale del digitale e delle voci che lo popolano nella costruzione delle identità, delle conoscenze e delle credenze. Dell’anima insomma. Due anni fa – che nel campo della tecnologia paiono due secoli – Giovanni Tridente pubblicava il volume Anima digitale. La Chiesa alla prova dell’Intelligenza Artificiale: fin da allora emergeva da parte della Chiesa il solito sguardo moderatamente ottimista, ugualmente lontano sia dai pessimisti, che individuano nelle nuove tecnologie la fine dell’umanità, sia dagli accelerazionisti, che al grido di «move fast and break things» (muoviti veloce e rompi le cose) sognano attivamente la fine di questa umanità in un orizzonte transumanista. In questi due anni – due secoli – contrassegnati dall’intelligenza artificiale generativa di largo consumo, con ChatGpt che fa i compiti agli studenti e scrive le mail agli impiegati – la Chiesa, con il messaggio di papa Francesco per la scorsa Giornata mondiale di preghiera per la pace, è intervenuta su uno dei punti centrali, troppo poco considerati, dell’impatto delle AI sul nostro futuro: l’ulteriore aumento delle disuguaglianze tra chi possiede gli strumenti e chi non ne ha accesso. Le intelligenze artificiali intervengono sulla nostra anima. Ma sull’uso delle AI – per il bene di tutti o per il bene di pochi – è l’anima che ci giochiamo.