Il movimento che avvisa. Le nuove scoperte circa la possibile previsione dei terremoti
E' plausibile immaginare la possibilità dello sviluppo di un sistema di allerta basato sulle oscillazioni lente delle placche.
La natura (intesa come ambiente vitale globale) si esprime e ci arricchisce con tutte le sue meraviglie. In qualche occasione, poi, fa anche “la voce grossa” con fenomeni potenti ed ingestibili da parte umana. Ne sono esempio i grandi terremoti, da cui cerchiamo costantemente di proteggerci, provando in tutti i modi a ridurne le conseguenze e i danni. Lo studio accurato e prolungato di questi fenomeni ci ha già insegnato molte cose utili a ridurne l’impatto sulla comunità umana; ma uno dei crucci ancora irrisolti da parte degli scienziati riguarda l’incapacità attuale di individuare elementi predittivi – realmente affidabili – che ci consentano di prevedere almeno le forti scosse telluriche potenzialmente distruttive.
Adesso, un recente studio (pubblicato su “Nature”) realizzato da Michael Bevis, professore di geologia della Ohio State University, insieme ad alcuni colleghi di istituti cileni e tedeschi, annuncia un’importante novità: con ogni probabilità, i terremoti importanti sarebbero preceduti da lievissime oscillazioni – rilevate dalle centraline Gps – delle placche tettoniche interessate. Questi segnali, una volta integrati in opportuni modelli di movimento delle placche stesse, potrebbero di conseguenza fornire la base per un futuro sistema di allerta per i terremoti.
Per giungere a queste conclusioni, gli autori hanno scelto di analizzare in profondità i dati di due terremoti devastanti: quello di Maule, in Cile, di magnitudo 8.8, avvenuto nel 2010, e quello di Tohoku-oki del 2011, il più violento sisma della storia del Giappone, di magnitudo 9.0, che ha inoltre generato un violento tsunami e causato il disastro nucleare di Fukushima.
Entrambi gli eventi possono essere definiti come “megasismi”, cioè terremoti di eccezionale violenza che, solitamente, si verificano lungo le zone di subduzione (le linee lungo cui una placca litosferica slitta sotto un’altra placca). Nel caso del Cile, è la placca di Naszca a slittare sotto quella sudamericana, mentre lungo il Giappone l’interazione è tra ben tre placche: la placca del Mar delle Filippine e la placca pacifica slittano sotto la placca euroasiatica, e in più la placca pacifica slitta sotto la placca del Mar delle Filippine.
Bevis e colleghi hanno dunque preso in esame i dati di oltre un migliaio di stazioni Gps distribuite in tutto il Giappone e di una rete analoga, anche se molto meno densa, nel territorio cileno, scoprendo con sorpresa un lentissimo e impercettibile movimento oscillatorio delle placche nei mesi precedenti ai sismi. Tali minuscoli “movimenti” (parliamo di pochi millimetri) si sono verificati in un arco temporale di 5-7 mesi, producendo tuttavia un segnale marcato nelle rilevazioni. Il Giappone, per esempio, si è spostato dapprima da est a ovest e poi ha invertito il moto. Tali oscillazioni, con tutta evidenza, rappresentano un’evidente anomalia rispetto a quanto si registra di solito, ovvero un movimento lento e in una direzione costante.
Questi risultati vanno senz’altro interpretati con la dovuta cautela, ma adesso è plausibile immaginare la possibilità dello sviluppo di un sistema di allerta basato sulle oscillazioni lente delle placche. Permangono tuttavia molte questioni irrisolte.
“In Giappone – spiega Bevis – si è verificata un’oscillazione enorme ma molto lenta. La domanda a questo punto è: tutti i megaterremoti sono preceduti da oscillazioni di questo tipo? Allo stato attuale non lo sappiamo, perché non abbiamo sufficienti dati a riguardo. Ma è un altro fattore di cui tenere conto nelle zone di subduzione come quelle del Giappone, Sumatra, Ande e Alaska; avremmo bisogno di monitorare tutte le maggiori zone di subduzione con un’alta densità di sensori Gps il prima possibile”.