Il fascino (in)discreto di Indiana Jones. L’ultimo episodio della saga ci fa riflettere sul rapporto tra archeologia e fascinazione cinematografica
Il suo successo planetario ha certamente riportato l’archeologia sotto i riflettori della modernità e delle sue mode.
L’attesa dei nostalgici, (e non solo loro), della nuova avventura di Indiana Jones, “Il quadrante del destino”, significa anche la possibilità di fare i conti con il presente. Un presente instabile, certo, che come sapeva S. Agostino non esiste perché già ieri nel momento in cui lo pensiamo. Il presente del 1981 di “I predatori dell’arca perduta” oggi ci fa sorridere, anche perché in questo oggi il professor Jones va in pensione, (non l’attore, premiato quest’anno al Festival di Cannes con la palma d’onore, che non ne ha alcuna intenzione), visto che la produzione ora è della Walt Disney e non più della Paramount, e che nella squadra non ci sono più né Spielberg né Lucas, anche se mantengono la firma di produttori esecutivi. E che i salti, le infrazioni spazio-temporali, i combattimenti e le sparatorie forse non si addicono più ad un pur aitante ultra-ottantenne.
Un archeologo che spesso e volentieri lascia da parte le aule dell’università dove insegna per combattere, anche stavolta, con i nazisti, anzi, neo-nazisti decisi a tornare indietro nel tempo per far fuori addirittura il loro fondatore, e che ha già attraversato il Nepal, l’Egitto, l’India, l’Italia, l’America del sud e molte altre terre più o meno incognite.
Il suo successo planetario ha certamente riportato l’archeologia sotto i riflettori della modernità e delle sue mode, tra i rotocalchi di quarant’anni fa, le sale cinematografiche, i riassuntini -oggi li chiameremmo spoiler- fatti agli amici che non l’avevano ancora visto, o le visioni a casa con le videocassette. Anche se quell’archeologia non esiste.
Esiste una modalità di confronto di dati sul terreno, in équipe formate certamente da archeologi, ma anche da geologi, per sondare la natura dei terreni da scavare, architetti, storici dell’arte, manovalanze, restauratori: uno dei problemi più urgenti che si pone durante uno scavo è infatti quello della immediata messa in sicurezza dei reperti. “Come venivano portati alla luce vasi, statuette, paste vitree si doveva subito intervenire per passare alla conservazione dei reperti -ricorda Placido Scandurra, uno dei più importanti artisti d’oggi, negli anni Settanta in Siria al seguito della spedizione archeologica di Paolo Matthiae come restauratore. Perché in realtà una parte dei fondi per una campagna archeologica devono essere programmati per il restauro di reperti altrimenti destinati ad essere danneggiati o addirittura cancellati dall’azione corrosiva degli elementi di superficie.
Sul perché della fascinazione del ciclo Indiana Jones, Scandurra oggi non ha dubbi: “l’elemento meramente archeologico è solo un pretesto per altro, soprattutto esoterismo, magia, eventi soprannaturali, oltre che avventura e amore”. Il che è piuttosto lontano dalla programmazione di spedizioni in cui la razionalità e il passo dopo passo regnano sovrani.
E però anche l’avventura e l’ostinazione contro tutto e tutti hanno fatto l’archeologia, come nel caso della scoperta delle rovine di Troia da parte di un Heinrich Schliemann, archeologo dilettante e guidato non da manuali e cartine, ma dalle descrizioni dei luoghi presenti nell’Iliade di Omero. O con le scoperte fatte a Catal Hüyük, in Asia Minore: capanne culminanti con un foro centrale che alcuni (si veda a questo proposito “Una casa senza porte”, Melusina editore, di Claudia e Luigi Manciocco) associano al culto della grande antenata che poi sarebbe diventata la Befana in occidente.
Per non parlare dei legami tra scavo archeologico, mito, amore e storia, come quando l’archeologo Zaccaria Mari, sfidando i pareri dei suoi colleghi, scavò e trovò a Villa Adriana il santuario e forse sepolcro di Antinoo, il giovane amato dall’imperatore.
E ce ne sarebbero di esempi che testimoniano il fascino anche avventuroso dell’archeologia, grazie certamente alla visione adolescenziale delle avventure di Indiana Jones. A patto che poi i piedi ritornino per terra e si studi la storia dei luoghi, con i suoi rapporti con l’arte, la letteratura, l’architettura e con l’intera cultura di un tempo inesorabilmente passato. Ma che ha fatto il nostro presente.