Il declino dei sindacati. Le più importanti sigle sindacali “dei lavoratori”, ormai rappresentano sempre meno i lavoratori italiani stessi

Cinquant’anni fa, in una società molto più “semplice” dell’attuale, il sindacato ha portato ad un’ampia e benefica diffusione della contrattazione collettiva, ma oggi?

Il declino dei sindacati. Le più importanti sigle sindacali “dei lavoratori”, ormai rappresentano sempre meno i lavoratori italiani stessi

C’è stato, il tradizionale incontro tra nuovo Governo e sindacati. Tradizionale e stanco rito. Non ha fatto notizia, come ormai difficilmente fanno notizia le posizioni del sindacalismo classico (Cgil, Cisl e Uil). Alzi la mano chi ricorda l’ultimo sciopero generale proclamato, e per quale motivo fu fatto…
La questione è che le più importanti sigle sindacali “dei lavoratori”, ormai rappresentano sempre meno i lavoratori italiani stessi. Sembrano ad esempio assai preoccupate ed occupate a presidiare il fronte pensioni: chi ci deve andare, chi ci è andato. Per carità… ma un pensionato non è un lavoratore, ha giuste esigenze da affermare, ma allora chi si occupa dei lavoratori?
Cinquant’anni fa, in una società molto più “semplice” dell’attuale, il sindacato ha portato ad un’ampia e benefica diffusione della contrattazione collettiva, tra le più diffuse in Europa; allo Statuto dei lavoratori che ha promosso sacrosanti diritti sui luoghi di lavoro e regalato tutele molto più avanzate. Ha difeso le retribuzioni dall’inflazione, senza però arroccarsi (salvo la Cgil) in meccanismi svincolati dalla produttività e dalla realtà.
Ha fatto sentire gli italiani più protetti e, dagli anni Novanta in poi, più aiutati anche nella gestione quotidiana del proprio vivere, grazie ai patronati e ai Centri di assistenza fiscale. In parallelo, però, la società cambiava e l’economia pure. Un’ultima, grande fiammata c’è stata nei primi anni Duemila, ma molto “politica”, quando si posero di traverso al governo di centrodestra di allora.
Poi un declino fatto di una minore presa verso i lavoratori; di un’accentuata dimensione politica che ha creato solchi interni; dell’esponenziale crescita degli “inattivi” tra gli iscritti; di una progressiva auto-trasformazione in “sindacati degli italiani” che però non trovava corrispondenza con i fatti, né con il loro Dna: sindacati dei lavoratori.
Così si è un po’ persa l’anima e milioni di nuovi lavoratori – non più inquadrabili come cinquant’anni fa – s’industriano nella loro attività ben lontano dai sindacati stessi. Precarietà e frammentazione delle carriere non hanno certo aiutato le adesioni. Ma non sta qui il punto.
La questione vera è: questi sindacati non sono equiparabili ad una qualsiasi associazione consumatori che dice la sua su tutto e tutti, senza peraltro uscire dal colonnino in pagina. Sono, sarebbero gli artefici delle modalità di relazioni industriali che cambiano alla velocità della luce e non trovano un aiuto collettivo, un appoggio che faccia sentire ogni individuo-lavoratore meno solo di fronte al mondo. E alla controparte.
E se non loro, chi? Si pensi solo che ci sono 200 miliardi di euro da investire per trasformare l’Italia e portarla verso il 2100. Un forte sindacato ha il diritto-dovere di dire la sua sul come, quando, cosa. Avrebbe.
L’ultimo sciopero generale fu proclamato solo da Cgil e Uil nel dicembre 2021, contro la legge di bilancio stilata dal governo Draghi. Quella che ha portato a un 2022 eccezionale nonostante la crisi. Fu un flop sia di partecipazione che di risultati. Non ne è seguita alcuna riflessione critica.

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Fonte: Sir