C’è vita oltre la Borsa. Non siamo diventati un popolo di capitalisti, casomai di proprietari di titoli di Stato
La Borsa italiana (che in realtà italiana non è più) ha dimensioni non particolarmente ampie, con poche aziende che si quotano
Erano i primi anni Ottanta quando gli italiani scoprirono la Borsa, che ovviamente esisteva anche prima, ma che divenne “popolare” grazie ai fondi comuni d’investimento e al frizzante clima di quel decennio. Chi non ricorda gli yuppies?
Si pensavano orizzonti di gloria per questo strumento finanziario che mette sul mercato quote di aziende, che appunto si quotano in Borsa per ricevere finanziamenti per promuovere la crescita (o per monetizzare il successo, ma questo non si dichiara). Nel senso che quella italiana aveva sempre vissuto dentro un angusto recinto, un club a sé che stava lì, nelle mani di pochi ricconi e lontano dagli italiani.
Quindi Wall Street, quindi Londra o Parigi, quindi le Borse asiatiche che a fine Novanta si affacciano prepotenti sul mercato mondiale. Quindi le privatizzazioni delle grandi aziende di Stato (Eni, Enel, Telecom, Poste, le banche…) che ci fanno immaginare un popolo di capitalisti.
Ad oggi, poco si è avverato. La Borsa italiana (che in realtà italiana non è più) ha dimensioni non particolarmente ampie, con poche aziende che si quotano e altre che si ricomprano le azioni e si tolgono dal mercato. Lo Stato rimane il principale azionista presente nella Borsa italiana, i capitali che girano sono assai modesti: gli imprenditori preferiscono ancora appoggiarsi alle banche d’affari o ad altri strumenti per crescere nei business e nelle dimensioni.
E così qualche giorno fa è addirittura capitato l’impensabile: il primo sciopero nella storia della Borsa dei suoi attuali 600 dipendenti. Un classico sciopero che rivendica migliori condizioni economiche, ma su cui aleggia lo spettro di tagli al personale.
Rimane un fatto: non siamo diventati un popolo di capitalisti – casomai di proprietari di titoli di Stato –; l’economia reale è cresciuta senza appoggiarsi alla Borsa, come invece accade ad esempio negli Stati Uniti, laddove un singolo titolo vale più di tutti quelli quotati a Milano. Anni fa si guardava all’indice di Borsa anche per fatti collaterali: un cambio politico, un fatto di portata mondiale. Da una quindicina di anni in qua, si guarda alla differenza (il mitico spread) tra i Btp italiani e i Bund tedeschi. Certe grandi aziende italiane si quotano nelle Borse di altri Paesi, càpitano pochissime “scalate” anche perché lo Stato azionista è onnipresente.
Si diceva: o la borsa o la vita, abbiamo scoperto che c’è vita oltre la Borsa, e gli invecchiati yuppies investono le loro pensioni ovunque, meno che lì.