Il batterio gigante. Il nuovo batterio, scoperto tra le foreste di mangrovie dei Caraibi, raggiunge dimensioni eccezionali, fino a 2 cm di lunghezza
Questo nuovo “mostro”, dimensioni a parte, presenta caratteristiche cellulari complesse, che mettono in discussione la tradizionale concezione di questi organismi.
Lo sappiamo tutti, un batterio è un organismo piccolissimo (perciò detto anche “microbo”), con una grandezza media che varia tra 0.4 e 3 µm3 di volume; di conseguenza, esso è visibile soltanto con un potente microscopio. O almeno, così pensavamo finora. Ma cosa dire di fronte a un batterio talmente grande da essere visibile ad occhio nudo? Fantascienza? No, realtà!
Lo hanno scoperto alcuni studiosi, riuniti in una ricerca internazionale (pubblicata su “Science”) e coordinati dai biologi dell’Università della California, a San Francisco, e dell’Università Sorbona di Parigi. Il nuovo batterio, scoperto tra le foreste di mangrovie dei Caraibi, raggiunge dimensioni eccezionali, fino a 2 cm di lunghezza e, manco a dirlo, è stato denominato dai ricercatori “Thiomargarita magnifica” (dal latino “magnus”, grande). In più, a differenza di altri “batteri giganti” (fino a 1 mm) già noti, ma comunque considerate dagli studiosi forme di vita piccole e semplici, questo nuovo “mostro”, dimensioni a parte, presenta caratteristiche cellulari complesse, che mettono in discussione la tradizionale concezione di questi organismi.
“Thiomargarita magnifica – spiega Jean-Marie Volland, ricercatore al Lawrence Berkeley National Laboratory, affiliato al Joint Genome Institute del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti, e primo autore dello studio – è 5000 volte più grande della maggior parte dei batteri”. Esso fu osservato per la prima volta nel 2009 dal biologo Olivier Gros, docente di biologia marina all’Università delle Antille, mentre studiava le forme di vita dei sedimenti di mangrovie dell’arcipelago della Guadalupa, nelle Antille francesi. E’ costituito da un lungo filamento bianco e vive attaccato alle foglie sommerse di mangrovia rossa (Rhizophora mangle). Inizialmente, i biologi lo avevano associato a un organismo eucariote, cioè costituito da cellule con un nucleo differenziato e racchiuso in una membrana nucleare. Le analisi di laboratorio hanno invece rivelato che si trattava di un procariote, cioè di un organismo unicellulare, il cui materiale nucleare non è racchiuso dentro una specifica membrana. Un successivo sequenziamento del suo RNA ha permesso poi di attribuire il batterio al genere Thiomargarita, che comprende alcuni dei batteri più grandi precedentemente noti.
Usando la tomografia computerizzata, i ricercatori hanno quindi potuto visualizzare interi filamenti unicellulari di Thiormagarita lunghi in media 1 centimetro, con alcuni che raggiungevano anche i 2 centimetri. Infine, la microscopia a scansione laser e la microscopia elettronica a trasmissione (tecniche di visualizzazione ottica ad alta risoluzione) hanno consentito di apprendere ulteriori dettagli sulla complessità cellulare di questi batteri. Tra questi, ad esempio, la presenza di un grande vacuolo (ovvero una cavità) centrale, che è stata interpretata dai ricercatori come un primo sistema per minimizzare la limitazione della crescita. I batteri, infatti, sono sprovvisti di un sistema di trasporto intracellulare attivo e la presenza di un vacuolo lungo tutto il filamento può facilitare la diffusione chimica, rendendo possibili dimensioni cellulari maggiori. All’interno del citoplasma, poi, sorprendentemente sono state individuate numerose vescicole, dal diametro di circa 2 mm.
In passato i batteri sono stati considerati come piccoli “sacchi di enzimi”, ma diversi studi attuali hanno invece dimostrato la presenza in essi di organelli con funzioni specializzate. Anche la Thiomargarita magnifica ne è dotata (i ricercatori hanno scoperto granuli, diffusi in tutta la cellula, contenenti ribosomi e DNA). Sul piano genomico, attraverso analisi accurate, effettuate amplificando, sequenziando e assemblando il genoma di cinque cellule batteriche, gli studiosi hanno inoltre identificato le sorprendenti caratteristiche del genoma di Thiomargarita magnifica, che contiene tre volte più geni rispetto alla maggior parte dei batteri conosciuti e migliaia di copie del genoma che si diffondono in tutta la cellula. Come tutti i batteri giganti, dunque, anche Thiomargarita magnificaè risultato essere un organismo poliploide (con più copie del genoma), fino a conteggiare circa 750.000 copie di genoma per una cellula di due centimetri completamente cresciuta. Siamo intorno a un ordine di grandezza superiore rispetto a tutti gli altri batteri giganti. Il numero di geni individuati invece è di circa 11.000, tre volte il numero di geni mediamente presenti nei procarioti.
Da ultimo, l’osservazione delle colture batteriche in laboratorio ha rivelato il ciclo vitale del batterio gigante. I ricercatori hanno notato dei restringimenti all’estremità dei filamenti che, negli stadi intermedi, si trasformano in gemme apicali distinte. Negli stadi avanzati dello sviluppo le gemme si separano dal filamento, producendo così una nuova cellula. La divisione cellulare però è asimmetrica e solo una piccola frazione (circa l’1%) del materiale genetico viene trasmessa alla cellula figlia. Secondo gli autori, questo ciclo di sviluppo potrebbe essersi evoluto per migliorare la dispersione del batterio. Si ipotizza perciò un tipo di evoluzione convergente fra diversi domini, che ulteriori ricerche dovranno verificare e chiarire. “Thiomargarita magnifica – conclude Shailesh Date, docente all’Università della California a San Francisco e coordinatore dello studio – dimostra come la complessità si sia evoluta anche negli organismi più semplici. È necessario quindi guardare alla complessità biologica in modo ancora più dettagliato”.