Il Pnrr alla prova dell’inflazione
La riflessione sulle cause dell’inflazione indica un percorso di ragionevolezza ma anche di equità.
L’inflazione appare tutt’altro che domata, nonostante i ripetuti interventi delle autorità monetarie sui tassi d’interesse. Le previsioni indicano una discesa nella seconda parte dell’anno, ma intanto l’arma dell’aumento del costo del denaro per frenare l’incremento dei prezzi sembra aver progressivamente diminuito la sua efficacia. Con il duplice effetto di togliere ossigeno all’economia – lo spettro di una recessione è sempre dietro l’angolo, anche se non mancano segnali più rassicuranti proprio in casa nostra – e di non impedire all’inflazione di falcidiare i redditi dei lavoratori e delle famiglie, soprattutto quelli medio-bassi.
Se la terapia tradizionale non funziona – o meglio: non funziona in misura adeguata – forse bisognerebbe interrogarsi sulla natura e sulle cause specifiche del fenomeno inflattivo in corso. Qualcosa si muove in questo senso se anche a livello delle autorità monetarie si comincia a parlare di “inflazione da profitti”. La presidente della Bce, Christine Lagarde, ha dichiarato che “i margini di profitto continuano ad aumentare visto che qualcuno sta cogliendo l’occasione di mettere alla prova la domanda dei consumatori sfruttando lo squilibrio tra domanda e offerta, aumentando i prezzi oltre quanto reso necessario dai costi”. Ancora più esplicito Fabio Panetta secondo cui “stiamo probabilmente prestando troppa poca attenzione agli utili aziendali”. Ci sono comparti, ha sottolineato il membro italiano del board della Bce, in cui “i costi delle materie prime stanno calando ma i prezzi per i consumatori sono in rialzo, come anche i profitti”. Per quanto riguarda il nostro Paese, secondo i calcoli dell’agenzia Bloomberg la ricerca di maggiori profitti da parte delle imprese è all’origine del 60% dei rincari. Ma più in generale, se nel periodo 1999-2022 l’inflazione domestica era dovuta per un terzo ai profitti, nell’ultimo anno la quota è raddoppiata.
Da questa analisi si potrebbero trarre almeno due filoni di conseguenze. Il primo riguarda un ponderato ma sincero ripensamento delle strategie per combattere l’inflazione. Ci portiamo dietro, per esempio, un atavico timore per quella che viene correntemente definita “spirale prezzi-salari”, un circolo vizioso che in passato ha innescato processi di difficile contenimento. Ma oggi siamo al problema opposto perché i prezzi salgono e i salari lo fanno in modo incomparabilmente inferiore, quando non restano proprio al palo (e quindi in termini reali diminuiscono).
Il secondo filone interessa il tema del reperimento delle risorse per le iniziative del Governo, ovviamente per gli interventi che non sono compresi nel perimetro del Pnrr dove il problema è invece quello di spendere e di spendere bene. L’esempio più evidente e attuale è nella ricerca delle coperture per finanziare il taglio del cuneo fiscale – deciso con il decreto lavoro per gli ultimi sei mesi dell’anno in corso – anche per tutto il 2024. Operazione complessa che da qui al varo della prossima legge di bilancio dovrà fare i conti con l’andamento complessivo dell’economia e dei mercati. La riflessione sulle cause dell’inflazione indica un percorso di ragionevolezza ma anche di equità: se i profitti sono cresciuti a dismisura è soprattutto lì che bisogna attingere, non rosicchiando risorse al sistema di welfare che supporta proprio le fasce di popolazione più colpite dall’aumento dei prezzi.