I cattolici in politica per “dare la vita” come Gesù. Gigi De Palo alla Settimana Sociale di Trieste
La Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, che si è chiusa a Trieste domenica 7 luglio con papa Francesco, ha ribadito la necessità, di fronte alla crisi delle istituzioni e della politica, di un rinnovato impegno dei cattolici nella cosa pubblica. Sul principio, tutti d’accordo. Sulle modalità, però, le idee non sono abbastanza chiare.
Gigi De Palo non ha bisogno di presentazioni. Già presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, De Palo è il presidente della Fondazione per la Natalità e ha fondato “Immischiati”, per formare in modo nuovo i giovani alla Dottrina Sociale della Chiesa. Con lui abbiamo riflettuto su quale potrà essere il lascito della 50ª Settimana Sociale, se, insomma, ci sarà o meno un ritorno dei cattolici alla politica. «La partecipazione – ci ha raccontato – non è un impegno categorico kantiano, ma deve sgorgare dal cuore». Come? «Con l’esempio di Gesù Cristo. Bisogna “dare la vita” non solo nella famiglia e nel lavoro, ma anche nella partecipazione consapevole alla cittadinanza». Un desiderio che va risvegliato, perché «lo spazio c’è». «Questo è un momento molto importante per la storia del Paese, un momento in cui fare la storia, non solo guardare Netflix o “stare sul divano”, come diceva il papa. Ma questo contributo deve nascere da una “miccia accesa”, dal desiderio di “dare la vita” anche nella politica». Ma la politica appare lontana: «Perché è lontana? – si domanda De Palo – perché mancano le preferenze. Tu voti chi il leader di partito ha scelto per te nel tuo territorio. Questo è molto negativo perché deresponsabilizza il politico che non ha più alle sue spalle una comunità, una base a cui fa da riferimento ma che gli fa anche da pungolo; ma allontana anche i cittadini che sono costretti a votare persone che non conoscono minimamente». Ecco perché gli appelli contro l’astensionismo non sono solo inutili, ma anche controproducenti: «Chi fa questi appelli fondamentalmente ha convenienza che ci sia l’astensionismo». Per molti commentatori le elezioni europee hanno consegnato un quadro che sa di ritorno al bipolarismo e di totale irrilevanza – se non di sparizione – del “voto cattolico”. De Palo non è d’accordo: «I cattolici sono ininfluenti perché hanno scelto di non contare. Dobbiamo uscire dalla logica del “santino”, cioè dei cattolici messi nelle liste solo perché sono cattolici o hanno una storia associativa dentro partiti in cui non contano niente». «Io sono 31 anni che non so per chi votare – ammette De Palo – non ci si sente mai rappresentati pienamente. Ci sono visioni diverse della persona umana: da una parte il tema della vita è solo nella persona immigrata, dall’altra solo nella mamma. Noi dobbiamo mettere insieme queste visioni, perché la vita è sempre degna». Altro ostacolo è il modo con cui raccontiamo la politica, tra le polarizzazioni che radicalizzano e i tecnicismi che disorientano e allontanano le persone comuni. Se De Palo avesse potuto scrivere le conclusioni della Settimana Sociale di Trieste, si sarebbe limitato a una sola parola: “Daje”. «Daje è la parola romana per dire “andiamo, tocca a noi, diamo il nostro contributo”. È un concetto che non vuol dire necessariamente “mi candido”, ma che invita a vivere più consapevolmente il tempo che stiamo vivendo, incontrare altre persone che vivono questo spaesamento, offrire chiavi di lettura a chi non ha queste opportunità e semplificare situazioni volutamente complesse. I cattolici sono chiamati a dare il loro contributo, sulla scia delle Settimane sociali che lo hanno sempre fatto. Questo è uno di quei momenti in cui, per storia e tema, il centro deve essere la persona umana e la Dottrina Sociale della Chiesa». Prima le persone, le famiglie, i corpi intermedi, poi lo Stato: «Le istituzioni sono lì per servire le persone. Dobbiamo riappropriarci di questa consapevolezza».