Giuseppe, il custode dell’Amen
Giuseppe, uomo della fede silenziosa, accoglie l’inatteso con lo sguardo rivolto a Dio. Un cammino senza certezze, sorretto dall’“Amen”

Giuseppe, così come ci è stato trasmesso dagli evangelisti e dalla tradizione della spiritualità, non può non inquietare e non suscitare tanti interrogativi.
Indubbiamente, quando l’iconografia e la storia dell’arte ce lo presentano anziano e canuto intendono farci comprendere ed assaporare la sua saggezza, però come immaginarlo alle prese con un neonato e una giovane donna in un’esistenza che non si presentava molto quieta?
Ritroviamo anche però Giuseppe giovanotto e questo consente di respirare con più realismo.
Immerso, da una parte, in un mistero che avrebbe cambiata la storia e avrebbe impresso non una svolta ma la svolta con la nascita del Messia atteso da secoli e, dall’altra, in un quotidiano che, più banale di così non si può immaginare. Due aspetti contradittori? Escludentesi l’un l’altro?
A mio modo di vedere: certamente sì.
Interviene però un dono dello Spirito che illumina e sorregge mentre si tenta di entrare nell’esistenza di questo giovanotto che porta il nome di Joseph.
Dono espresso con trasparenza dalla vena poetica di Paul Claudel in una semplicità che disarma: “nel guardare egli preferisce gli occhi della fede a quelli della carne”.
Una sfida paradossale: semplice perché nessuno se ne avvede e non richiede né apparato né attrezzatura che si faccia notare; radicale perché sposta il giudizio umano, uso alle categorie di valore sociale ed economico, ad un piano in cui regna il Presente, l’Altissimo, che non ha mai smesso di creare ma che, sempre, continua a creare e a modellare la storia dell’umanità, pur rispettando la libertà di ogni sua creatura.
Che cosa vedono gli occhi della fede di Giuseppe?
Un appello ricevuto, dal contenuto quanto mai assurdo, che gli richiede o di rifiutare l’appello stesso e pensare di rivolgersi ad uno psicoterapeuta oppure, avendo sperimentato l’opera del Creatore, che ha sempre scortato Israele, lo ha tratto dall’Egitto e lo ha fatto entrare nella terra in cui scorre latte e miele, di fissare i suoi occhi, conservarli arditi e diretti nel pronunciare il suo “Amen”, il suo così è.
Non poteva tuttavia immaginare quale sarebbe stato lo sviluppo di quel “Amen” nel corso degli anni.
Giuseppe nell’attesa ha costruito un futuro immaginario? Una sorta di docufilm con le glorie e le vittorie del figlio Gesù perché Messia?
Si è cullato in una sorta di avventura aristocratica che lo avrebbe portato a potersi designare Padre del Messia di Israele?
Gli occhi della fede hanno combattuto contro gli occhi della carne?
Penso proprio di sì, perché la fede non cancella la natura ma la illumina e i passi devono essere mossi non per trasporto romantico ma per decisione profonda di abbandono a Colui che tutto guida, Amen, appunto.
Non furono pochi gli anni in cui Giuseppe continuò a non vedere nulla di concreto che avanzasse o indirizzasse il progetto “Messia”.
Che cosa si agitava nel suo animo? Quali interrogativi scorrevano nel suo cuore?
Non ha potuto evitare nulla, non aveva un team che lo affiancasse, un coach che lo allenasse, possedeva una sola risorsa: Amen.
“Un santo della porta accanto” lo definisce Francesco in “Gaudete et exsultate”.
Come poteva Giuseppe attivare gli occhi della fede?
Teresa di Gesù sarebbe pronta nella risposta: con l’orazione, di cui Giuseppe è Padre.
Orazione, nel linguaggio della spagnola Teresa e nella tradizione carmelitana, significa appunto fissare lo sguardo sempre sul Signore e rimanere in ascolto, lasciarsi condurre e rispondere costantemente: Amen. Con Giuseppe e come Giuseppe, “nostro glorioso Padre”.