Fisco: evasi circa 130 miliardi. Eppure l’Anagrafe dei rapporti finanziari potrebbe individuare chi evade…
È in “nero” quasi un quinto di tutta la ricchezza prodotta dal Paese. Anche per la pressione fiscale siamo nella parte alta della classifica, ma gli ultimi dati disponibili dell’Ocse, l’organizzazione dei Paesi più sviluppati, dicono che Francia, Danimarca, Belgio, Svezia e Finlandia hanno livelli più alti (e non a caso si tratta di Stati che hanno da sostenere sistemi di welfare molto consistenti). Comunque la pressione fiscale in Italia è destinata a crescere ulteriormente nell’anno in corso, arrivando a quota 42,4, secondo le stime del Ministero dell’economia
Tra i 124,5 e i 132,1 miliardi di euro. A tanto ammonta l’evasione fiscale nel nostro Paese, secondo i calcoli effettuati con metodologie aggiornate dall’Ufficio Valutazione Impatto del Senato, organo tecnico che valuta le conseguenze delle politiche pubbliche. In Europa siamo i primi in assoluto e non è certo un record di cui andare fieri. Del resto, molte stime collocano appena sotto il 20% del Pil il valore dell’economia sommersa. Come dire: è in “nero” quasi un quinto di tutta la ricchezza prodotta dal Paese. Anche per la pressione fiscale siamo nella parte alta della classifica, ma gli ultimi dati disponibili dell’Ocse, l’organizzazione dei Paesi più sviluppati, dicono che Francia, Danimarca, Belgio, Svezia e Finlandia hanno livelli più alti (e non a caso si tratta di Stati che hanno da sostenere sistemi di welfare molto consistenti). Comunque la pressione fiscale in Italia è destinata a crescere ulteriormente nell’anno in corso, arrivando a quota 42,4, secondo le stime del Ministero dell’economia.
Ma il problema principale del nostro sistema fiscale non è il “carico” astrattamente inteso. L’elemento più macroscopico ed evidente è l’estrema complessità spesso priva di motivazioni razionali, che rende estremamente difficoltoso il rapporto di cittadini e imprese con il fisco e che produce o incrementa situazioni di iniquità.
Il sistema italiano, ha sottolineato la Corte dei Conti nel Rapporto 2018 sul coordinamento della finanza pubblica, è “il risultato di una stratificazione di interventi spesso tra loro disomogenei, a cominciare dal fatto che per essi sono state utilizzate scale di progressività diverse”. “Il paradosso più evidente in questo senso – ha rilevato la Corte – è rappresentato dalla minore incidenza degli assegni familiari per i contribuenti del decile più basso nella distribuzione del reddito”. Un altro paradosso lo evidenzia il Rapporto annuale presentato nei giorni scorsi dall’Associazione per la legalità e l’equità fiscale (Lef), un centro studi indipendente che vede all’opera molti ex-dirigenti dell’amministrazione fiscale. “E’ curioso – si legge nel Rapporto – che siano detraibili ‘le spese veterinarie’ o ‘le erogazioni liberali a favore degli enti dello spettacolo’ mentre, come avviene in genere in tutti i Paesi economicamente avanzati, non ci sia un adeguato sostegno attraverso il fisco alla famiglia”.
Dal punto di vista sostanziale, il problema numero uno è quello della distribuzione del carico fiscale, che grava in larga misura su lavoratori dipendenti e pensionati (soprattutto nella fascia media), in cui il prelievo alla fonte azzera le possibilità di evasione, almeno per l’Irepf; colpisce il lavoro e la produzione, determinando un ampio “cuneo fiscale” tra retribuzione realmente percepita dal lavoratore e costo totale per l’azienda (in questo siamo al terzo posto tra i Paesi Ocse); trascura o addirittura penalizza la famiglia con figli, come dimostrano anche gli ultimi dati Istat sull’incidenza della povertà.
Il Rapporto della Lef segnala anche un ulteriore profilo problematico dal punto di vista dell’equità: la strisciante diminuzione della progressività del prelievo fiscale attraverso tante piccole (e meno piccole) “flat tax” già operanti, a cominciare dalla ben nota “cedolare secca” sugli affitti delle abitazioni alle ulteriori sette previste dalla nuova legge di bilancio, come l’aliquota piatta del 15% per le partite Iva sotto i 65mila euro e la “cedolare secca” estesa alle locazioni dei negozi.
A fronte di questo quadro il tema della lotta all’evasione fiscale, nelle proporzioni abnormi che ha assunto in Italia, dovrebbe essere un tema chiave del dibattito pubblico e invece, al di là di qualche frase di circostanza, è praticamente assente. Purtroppo, sottolinea mestamente il Rapporto della Lef, “è, ed è stato in passato, elettoralmente poco conveniente”. Secondo i dati forniti dall’Agenzia delle entrate, nel 2018 le attività ordinarie di controllo hanno portato a recuperare 16,2 miliardi di euro, con un aumento dell’11% rispetto all’anno precedente. Un risultato rilevante ma “parziale e limitato”. Più che gli accertamenti, sottolinea ancora il Rapporto, “la tracciatura sembra l’unica arma che le amministrazioni fiscali posseggono per combattere l’evasione di massa”. A onor del vero, lo Stato avrebbe una specie di arma atomica: l’Anagrafe dei rapporti finanziari, una colossale banca dati in cui sono registrati – per esempio – 75 milioni di conti correnti e 115 milioni di carte di credito. In totale questa Anagrafe ha in pancia 669 milioni di rapporti finanziari, una mole di dati che, opportunamente incrociati, consentirebbe in teoria di profilare con precisione i potenziali evasori. Ma una profilazione di massa richiederebbe una volontà politica determinata in questo senso e porrebbe obiettivamente dei problemi in ordine alla riservatezza dei cittadini, tanto che il Garante per la privacy finora si è sempre opposto a un utilizzo di questo tipo.
Ma la repressione, ovviamente doverosa e da incrementare, è l’unica strada percorribile? Da anni gli studiosi propongono anche un approccio diverso. Quando era presidente dell’Agenzia per il terzo settore, l’economista Stefano Zamagni, oggi presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, ebbe a dire che “c’è una soglia oltre la quale la minaccia di sanzioni non produce effetti, effetti che si possono ottenere premiando i virtuosi”. “L’evasione si combatte non solo scoraggiando gli evasori, ma anche favorendo la fedeltà fiscale”, ha scritto recentemente Vittorio Pelligra, professore di politica economica all’università di Cagliari, studioso attento di queste dinamiche. “Chi paga le tasse – è la tesi di Pelligra – non lo fa solo per sfuggire alle sanzioni. Tanti cittadini, in realtà più di quanti non si possa immaginare, pagano le tasse semplicemente perché lo ritengono giusto, per una forma di motivazione intrinseca. Gli inglesi la chiamano tax morale”. Ecco allora che “la reciprocità tra Stato e cittadini, la delegittimazione sociale degli evasori assieme alla valorizzazione e al riconoscimento dei contribuenti fedeli sono tre potenti leve che il Governo potrebbe azionare, da subito, per combattere l’evasione fiscale in Italia”. Purtroppo sembra che i venti della politica oggi soffino in senso contrario.