Eutanasia per i minori. Salata (Ospedale Bambino Gesù): “Assicurare l’accesso alle cure palliative pediatriche in maniera completa”
Il governo olandese ha deciso di rendere possibile l'eutanasia per i bambini inguaribili anche sotto i dodici anni. L'eutanasia sarà possibile solo come unica opzione per porre fine alle sofferenze di un bambino, non alleviabili nemmeno con le cure palliative. Al Sir il responsabile del Centro per le cure palliative pediatriche dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù Irccs di Roma spiega come il percorso terapeutico rappresenti un modo per raccogliere quello che di positivo può suscitare anche una situazione difficile
Per il Consiglio dei ministri olandese si tratta di una questione di “disparità” fra chi aveva accesso a un diritto e chi no. E così il governo di Amsterdam ha deciso di rendere possibile l’eutanasia per i bambini inguaribili anche sotto i dodici anni, colmando, così come motivano, un vuoto che privava della cosiddetta “dolce morte” coloro che non avevano ancora il requisito dell’età. Secondo il ministro della Salute olandese, Ernst Kuipers, sono i medici a chiedere che il protocollo possa essere applicato anche ai minori. L’eutanasia sarà possibile solo come unica opzione per porre fine alle sofferenze di un bambino, non alleviabili nemmeno con le cure palliative. Ma esiste un dolore che non può essere confortato dalle terapie? Al Sir, Michele Salata, responsabile del Centro per le cure palliative pediatriche dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù Irccs di Roma, spiega come il percorso terapeutico abbracci tutta la famiglia del piccolo paziente e rappresenti un modo per raccogliere quello che di positivo può suscitare anche una situazione difficile. Ma vi è un altro punto importante in Italia: bisogna ancora fare tanta strada per assicurare l’accesso alle cure palliative pediatriche, che rappresentano un diritto per tutti i bambini.
Direttore, esistono bambini “incurabili”?
No. Tutti i bambini sono curabili.
Negli ultimi anni, si è passati dall’80% di inguaribilità dei pazienti pediatrici oncoematologici all’esatto contrario, grazie al progredire della scienza.
Per tante situazioni, non solo oncologiche, vi sono ancora delle percentuali di bambini che non hanno come prospettiva la guarigione. Anche nei congressi scientifici, questi casi vengono “dimenticati”, mentre nelle cure palliative pediatriche partiamo proprio da loro. Le cure rappresentano il tassello per completare il percorso offerto dal sistema sociosanitario ai cittadini.
Esistono casi in cui le cure palliative sono insufficienti?
Sono tematiche davvero complesse ed è difficile sintetizzare una risposta.
Quello che sappiamo delle cure palliative pediatriche è che rappresentano un continuum di cura,
dalla diagnosi di malattia inguaribile ad alta complessità assistenziale al fine vita, che vede coinvolti più professionisti, i quali identificano i bisogni della persona nelle diverse età e tutti coloro che stanno intorno. Le cure palliative riescono a mettere in campo una varietà di interventi che accompagnano fino al momento della terminalità e nell’elaborazione del lutto. Credo che abbiamo gli strumenti adatti per arrivare a dare delle risposte adeguate ai bisogni del bambino e della sua famiglia.
Anche se molto piccolo, ogni bambino ha modo per manifestare il dolore?
Sì. Da tantissimi anni la pediatria e la neonatologia italiana hanno fatto in modo che la conoscenza del dolore fosse patrimonio di tutti i sanitari. Il neonato soffre non solo di dolore fisico e i neonatologi hanno un’eccellente competenza nel gestire il sintomo.
In Olanda contano fra 5-10 bambini l’anno per i quali le cure palliative sono insufficienti.
Le informazioni che leggo dai giornali sono difficili da comprendere. Sinceramente
sono più preoccupato, in termini di numeri, dal fatto che i dati italiani parlino di 35mila bambini eleggibili alle cure palliative pediatriche,
quindi affetti da malattie inguaribili con aspettativa di vita che va da mesi a anni, ma di questi, secondo l’indagine conoscitiva della commissione Affari sociali della Camera dei deputati XVIII Legislatura, approvata all’unanimità da tutte le forze politiche il 10 aprile 2019,solo il 10% riceve le cure palliative pediatriche in forma completa;infatti la legge 38 del 2010 sancisce che ogni Regione dovrebbe avere un hospice pediatrico e una rete di cure palliative pediatriche e terapia del dolore che dovrebbe garantire la risposta ai bisogni del bambino e della sua famiglia. Ci sono quindi 30mila bambini in Italia che non hanno una presa in carico di questo tipo.L’allarme è che oggi in Italia l’applicazione della norma sia a macchia di leopardo con poche macchie.
Prima che aprisse il nostro hospice un anno fa, nel Lazio venivano assolutamente molto ben curate le malattie inguaribili ma ora c’è a disposizione una equipe dedicata. I bambini in questa condizione hanno anche dei fratelli, dei familiari che hanno dei bisogni sociosanitari. Succede che i pazienti hanno lunghissimi ricoveri in cui in genere le mamme sono loro accanto. Tutto questo mina la stabilità, il lavoro e i sogni per il futuro della famiglia e dei suoi componenti. Per tanto tempo abbiamo dato la risposta alla malattia – come era doveroso fare – ma una volta fatto, tramite le cure palliative pediatriche, cerchiamo di ricucire la famiglia, mettendo insieme tutto. È un po’ quello che fanno le mamme, loro sono incredibili: guardano a 360 gradi quello che serve al paziente, al fratellino che è a casa, al papà o al resto della famiglia. È come se imparassimo la metodologia di lavoro da una mamma. Non risolviamo sempre tutto, ma ci proviamo e siamo accanto nella quotidianità, all’insegna della miglior qualità di vita ogni giorno, dando valore ai gesti e al risultato raggiunto. Mi piace dire che ci occupiamo della vita vera. L’obiettivo per queste famiglie è vivere nel miglior modo possibile, assicurando la massima professionalità di equipe multidisciplinari.
Negli anni, i genitori le hanno mai chiesto l’eutanasia per i loro figli?
No, è successo il contrario:
sono state le famiglie che hanno ricevuto le cure palliative pediatriche che mi hanno insegnato e trasmesso tanto nel comprendere quale dev’essere la miglior cura possibile per il loro figlio o figlia.
Genitori così, sorridenti, che sognano progettualità per la loro vita, gli altri fratelli e sorelle. Vivono con serenità. È la sfida totale e sufficiente che mi motiva ogni giorno per dare al meglio le cure palliative pediatriche. Una volta fatta la diagnosi, poi, “bisogna vivere”. A volte noi medici non sappiamo più che risposta dare ed è qui che intervengono in continuità nel percorso le cure palliative pediatriche perché dopo la diagnosi e la terapia “viene la vita, la quotidianità della vita”. Il bambino con quella malattia vive e ha dei bisogni. Ciò significa consentire alla famiglia di essere famiglia.
Ci sono casi che pongono dubbi?
Anni fa, la allora presidente Mariella Enoc dell’Ospedale ha istituito il Comitato di etica clinica , presieduto da don Luigi Zucaro, chiamato ad esprimere un parere proprio sui casi che pongono dei dubbi etici.
Alcune volte non è così chiaro il confine fra proporzione di cura, accanimento clinico e dignità.
La scienza progredisce a piccoli passi e la difficoltà è trovare il momento in cui è corretto porre il limite.La scelta non va caricata sul genitore se fare o non fare un intervento; è responsabilità del medico garantire ai genitori la terapia più giusta per quel preciso momento.
È un equilibrio molto delicato e dobbiamo trovare il massimo bene possibile. L’obiettivo non è sommare giorni ma aggiungere vita a quei giorni.
Dal 15 maggio al 15 giugno ci sarà il Giro di Italia delle cure palliative pediatriche. Che obiettivo avete?
Far conoscere il diritto alle cure palliative pediatriche alla popolazione. Personalmente mi colpiscono i fratelli e le sorelle dei pazienti. Infatti se ci occupiamo anche di come il fratello o la sorella vive la malattia inguaribile e grave avremo un uomo e una donna fra 15 anni probabilmente un po’ migliori rispetto a chi ha vissuto la condizione e la lontananza del genitore. Le cure palliative che si occupano con grande attenzione di fratelli e sorelle permettono di lavorare a una società migliore perché la sofferenza diventi un’opportunità di crescita.
Siamo convinti che la relazione sia un tempo di cura
perché il tempo che il medico, ma anche l’Oss, l’infermiere o la signora delle pulizie dedicano per fermarsi con i pazienti o con i genitori per prendere un caffè è parte della cura. Non lo insegna nessuna facoltà, deve essere una capacità che nasce da dentro.
Elisabetta Gramolini