Emergenza Coronavirus per chi vive in strada, "potenziare i servizi a bassa soglia"
Per la Fiopsd serve "un dispiegamento di forze professionali (unità mobili socio-sanitarie) in strada e presso i servizi per applicare misure preventive di screening”. Indagine tra gli associati in tutta Italia: aumentano i costi, chiudono i servizi di igiene, diminuiscono i volontari e cresce la paura di coloro che vivono in difficoltà
ROMA - “Più di 55 mila persone senza dimora e gli stranieri che a causa dei decreti sicurezza sono finiti per strada vivono la paura di farsi vedere o visitare, una enorme fetta di popolazione che, oltre a tutti i disagi di una vita difficile, subisce ora una ulteriore emergenza e rischia pure di diffonderla”. E’ l’allarme lanciato dalla Fiopsd che chiede alle istituzioni competenti di “prevedere dei protocolli di intervento e misure preventive soprattutto per i servizi bassa soglia. Un dispiegamento di forze professionali (unità mobili socio-sanitarie) in strada e presso i servizi per applicare misure preventive di screening, per evitare contagi e diffusioni del virus che in condizioni di estrema vulnerabilità potrebbero essere ancora più rapidi e aggravanti”.
L’organizzazione ha inviato alcune domande ai propri soci in tutta Italia per capire cosa succede ai servizi e alla persone senza dimora a seguito dell’emergenza Coronavirus e delle ordinanze locali e nazionali. Ecco cosa hanno risposto.Avete dovuto modificare dei servizi? Il paradosso maggiore è che sono stati interrotti alcuni servizi igienici quali docce e distribuzione di indumenti, sono stati anche chiusi alcuni servizi di lavaggio vestiti e gli ambulatori. Più della metà delle realtà ha dovuto modificare i servizi facendo accedere alla mensa poche persone per volta, fornendo pasti da asporto, spesso pasti non caldi, da mangiare fuori dalle strutture. Alcuni dormitori sono ora aperti 24h per invogliare gli ospiti a non andare per strada, è stata fornita una maggiore informazione su igiene e sicurezza ed è stato ampliato e rafforzato il servizio delle Unità di Strada.
Questa situazione ha ripercussioni sulle persone senza dimora o con particolari vulnerabilità? Si, si sentono ulteriormente esclusi ed emarginati, aumenta in loro la paura specialmente di coloro che presentano anche problematiche psichiatriche, aumenta inoltre la diffidenza. In alcuni comuni si lamenta che le autorità non si stanno interessando di protocolli per la gestione delle persone in strada, sicuramente i media li ignorano.
Il numero di volontari si è modificato? Per il 45% di coloro che hanno riposto i volontari sono diminuiti e solo in un 5% sono aumentati.Come hanno risposto le persone senza dimora all’emergenza? Le persone hanno risposto a volte con grande spirito di adattamento e collaborazione, mostrando una grande comprensione della situazione; i rischi del vivere in strada sono decisamente più alti di quelli del Coronavirus. A volte invece sono molto confusi e preoccupati, a volte inconsapevoli; in alcuni c’è il timore di ammalarsi, anche di semplice influenza ed avere ancor meno possibilità di protezione.Questa situazione comporta dei costi extra per i servizi e la struttura? Per il 57,5% sono aumentati i costi perché sono aumentate le ore di apertura, i tempi e le modalità di erogazione dei pasti, sono diminuiti i volontari.Vuoi descriverci lo sforzo organizzativo che avete affrontato? In tempi strettissimi è stato necessario riorganizzare a volte completamente i servizi, cercando di contenere al massimo le frustrazioni e le paure degli operatori e degli ospiti. E’ stato fatto un grande lavoro di mediazione per spiegare la situazione agli ospiti. Sono state redatte indicazioni scritte per volontari, ospiti e operatori. Sono stati acquistati contenitori monouso a norma per la somministrazione di alimenti caldi, messo a punto la logistica di distribuzione dei sacchetti e formato i volontari. Avviate modalità di smart-working per chi vive in zona rossa e non può spostarsi da casa.