Egitto, il giurista: con Zaki il governo Al-Sisi fa propaganda

Parla Muhammad Ebaid: con il processo il governo cerca di smarcarsi da chi all'estero lo accusa di perseguitare gli attivisti. Ma "i reati contestati sono incostituzionali"

Egitto, il giurista: con Zaki il governo Al-Sisi fa propaganda

"Il processo di Patrick Zaki rientra in una azione di propaganda che da qualche tempo il governo del presidente Al-Sisi sta portando avanti per smarcarsi più facilmente da chi all'estero lo accusa di perseguitare gli attivisti. Accusare Patrick di fake news appare quindi un modo più semplice per condannarlo, rispetto all'accusa di terrorismo. Ciò non toglie che i due articoli del codice penale che gli vengono contestati siano incostituzionali, così come la natura del tribunale dove si celebra il processo: è una corte d'emergenza che impedisce ai condannati di fare ricorso in appello". Dopo la prima udienza del processo a Patrick Zaki, che si è tenuta ieri, l'agenzia Dire dialoga con Muhammad Ebaid, esperto legale e analista per Egypt Wide e responsabile progetti presso l'Egyptian Commission for Rights and Freedoms.

Dopo 18 mesi di detenzione cautelare, in cui sembrava che a Zaki venisse contestato il reato di "sedizione" che ricade nella legge sull'anti-terrorismo - e che può costare una condanna fino a 25 anni di galera - lo studente dell'Università di Bologna è stato infine rinviato a giudizio per diffusione di false notizie nel Paese e all'estero, a causa di un articolo in cui difendeva i diritti della minoranza copto-cristiana a cui lui stesso appartiene. E' stato quindi deferito al tribunale per i reati penali minori di Mansoura, sua città di residenza. Per l'esperto, però, "è solo perché ha lì la residenza. Se dovesse essere condannato, potrebbe essere riportato al carcere del Cairo".

Quindi Ebaid chiarisce: "E' una cosa abbastanza normale che la procura per la sicurezza nazionale contesti a oppositori e attivisti i reati di anti-terrorismo, ma poi la procura stessa e perfino il giudice fino a un minuto prima dell'inizio del processo possono cambiare reato e citare altre leggi, e di solito succede così. Il problema è che le due leggi che Zaki avrebbe violato sono incostituzionali perché non solo violano la libertà di espressione, ma contengono espressioni e parole incoerenti e in contrasto col linguaggio del diritto penale".

Il ricercatore cita a titolo di esempio l'accusa di "diffondere paura tra le persone", oppure le espressioni come "potrebbe sembrare che" o "potrebbe essere possibile che", contenute in queste leggi. Per Ebaid, "siamo di fronte alla stessa incoerenza del reato di 'violazione dei valori familiari' che ha portato in carcere alcune giovani influencer, solo perché pubblicavano video su Youtube, Instagram e TikTok".

Sarebbe però prematuro fare ora previsioni sull'esito del processo: "Il caso Zaki ricorda però quello di Ahmed Samir Santawi, a cui sono stati contestati gli stessi reati". Ebaid si riferisce allo studente della Central European University di Vienna, condannato a quattro anni dopo quasi sei mesi di detenzione cautelare sempre a causa di articoli "lesivi" della stabilità dello Stato, perché trattava il tema dell'aborto rispetto alla religione islamica. Una vicenda che presenterebbe forti analogie col caso Zaki: entrambi impegnati per i diritti umani, entrambi ricercatori all'estero.

"Ciò che è certo è che il governo egiziano vuole dimostrare al mondo che rispetta le libertà" conclude il giurista. "Lo dimostra un documento pubblicato pochi giorni fa dal titolo 'Strategia nazionale per i diritti umani': 70 pagine di bugie e propaganda, che spende tante parole in difesa di valori che in Egitto non esistono". (DIRE)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)