Economia e Vangelo. Don Gabriele Pipinato: "Raccogliere fondi, un ministero"
Fundraising è una parola alla moda e sempre più una necessità. Nella Chiesa a volte si vive con imbarazzo, ma non è elemosina, anzi ha più a che fare con la condivisione.
«Perché, nella grande prova della tribolazione, la loro gioia sovrabbondante e la loro estrema povertà hanno sovrabbondato nella ricchezza della loro generosità» (2Cor 8,2). Il più delle volte, raccogliere fondi per la Chiesa o per le sue iniziative benefiche è considerata un’attività necessaria ma spiacevole. In realtà è un ministero pastorale così come è predicare, visitare i malati, impegnarsi nella catechesi. Papa Francesco ci direbbe che ha a che fare con la spiritualità: «Quando condividete e donate i vostri profitti, state facendo un atto di alta spiritualità».
Un giovane parroco venne da me sconsolato e mi confessò quanto gli pesasse chiedere soldi ai parrocchiani: era l’attività più faticosa del suo impegno pastorale e la subiva con vergogna. Mi chiese una mano per convincere i membri dei suoi consigli ad approvare il rifacimento del presbiterio, in vista di poter coinvolgere il vescovo per la dedicazione della Chiesa. Il progetto era già bello e confezionato, senza che i suoi più stretti collaboratori ne sapessero nulla. Quando mi presentai all’incontro, mi trovai mio malgrado dentro una bufera di obiezioni e contestazioni. I più consideravano che non fosse una priorità, ma solo una fisima del prete: in fondo, tutti i parroci precedenti avevano celebrato sul quel vecchio altare di legno senza fare tante storie! Cercai di spiegare e mediare, ma la frittata era fatta. Ne sono uscito con le ossa rotte e tornando a casa ho ripensato con riconoscenza al mio vecchio parroco, don Paolino. Quando arrivò, non trovò nulla nelle casse della parrocchia: avrebbe desiderato anche lui poter celebrare in una chiesa consacrata, ma bisognava rifare il presbiterio con un nuovo altare di marmo per celebrare l’eucaristia e un ambone decoroso per l’annuncio del Vangelo. Non c’erano soldi, ma lui non si perse d’animo: senza chiedere nulla, si impegnò in un percorso di catechesi sul valore dell’eucaristia e sul significato dell’altare. L’anno successivo ci accompagnò a comprendere l’importanza della Parola di Dio e la centralità della proclamazione del Vangelo.
«…hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente, domandandoci con molta insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a vantaggio dei santi» (2Cor 8,3-4).
Don Paolino ci accompagnò dentro la ricchezza della liturgia e ci mostrò quel patrimonio di fede e di amore che era sempre stato nostro. Alla fine, fummo noi parrocchiani a chiedere la grazia di poter avere la chiesa consacrata con un altare e un ambone che esprimessero il nostro amore per i misteri celebrati nella messa. E anche i soldi arrivarono. Don Paolino si stupirà leggendo questo articolo, perché certo non immagina di essere stato anche maestro di fundraising ecclesiale! Di sicuro, lui avrebbe potuto insegnare al giovane parroco quanto sia essenziale prima di tutto coinvolgere, mostrare la bellezza dell’iniziativa, motivare la passione che ci anima. Quando le persone comprendono il valore di un progetto, il bene che significa, le potenzialità nascoste per l’intera comunità, può diventare per loro una grazia partecipare e, forse, lo faranno non solo per accontentare il parroco, ma con «una vera offerta» (2Cor 9,5).
«Non dico questo per darvi un comando, ma solo per mettere alla prova la sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri» (2Cor 8,8).
Tuttavia, comprendo la vergogna di quel parroco nel chiedere soldi ai suoi parrocchiani e vorrei che avesse avuto la mia stessa fortuna di incontrare don Luigi Mazzucato, direttore del Cuamm per più di 50 anni. A Padova, nessuno ha saputo raccogliere più soldi di lui, ma sempre a testa alta e mai con lo sguardo basso, sempre pieno di speranza e mai rassegnato, sempre colmo di entusiasmo e mai sfiduciato. Don Luigi amava le persone che serviva in Africa e perciò non avevi la sensazione che chiedesse l’elemosina, perché credeva profondamente in quello che proponeva e, senza chiedere scusa, invitava a prendere parte alla sua visione. Si intuiva che viveva una relazione di assoluta libertà con i beni che amministrava e per questo non aveva alcun timore di chiedere, nessuna remora, perché non domandava nulla per sé. Sapendo che ognuno spende per quello che ama, voleva offrire un’opportunità «per mettere alla prova la sincerità del vostro amore» e che questo poteva diventare una doppia grazia: per chi riceveva e per chi donava. Don Luigi aveva così tanta fiducia nelle persone che incontrava da desiderare che anche loro fossero partecipi dei sogni che abitavano il suo cuore di pastore e di padre. Era profondamente convinto che le persone fossero buone, desiderassero aiutare gli altri, fossero capaci di gratuità. Ha fatto come Gesù che ha avuto fiducia di noi e ci ha invitato ad accumulare i nostri tesori, il più possibile, ma in cielo, nel cuore di Dio, dove tignola e ruggine non corrompono e dove i ladri non rubano, «Perché dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,19-21).
«Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7).
Oggi le neuroscienze assicurano che donare procura una gioia profonda che porta benessere alle persone, così come già aveva intuito San Paolo: «Si è più beati nel dare che nel ricevere» (Atti 20,35). Donare è un’azione capace di trasformare il superfluo in comunione con altri, ed è un miracolo che solo l’amore può compiere. Senza amore, sarà solo un bonifico bancario che magari farà del bene a chi lo riceve, ma non ha la forza di trasformare chi dona: «E se anche dessi in cibo tutti i miei beni… ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1Cor 13,3). Infatti, il vangelo della vedova che offre due spiccioli, «tutto quanto aveva per vivere» ci mostra che è possibile dare anche più del superfluo e ci insegna che donare non ci rende più poveri, ma più ricchi: solo quello che abbiamo dato gratuitamente ci appartiene veramente e per sempre. Ne siamo così convinti che pensiamo al fundraising come a un servizio alle persone per arricchire il loro cuore: un servizio difficile che chiede la conversione anche di chi si impegna a chiedere, ma che fa bene a tutti e dona una grazia unica: quella di mostrare la sincerità del nostro amore con la premura verso gli altri.
don Gabriele Pipinato
vicario episcopale per i beni temporali della Chiesa
Il libro
A Spirituality of Foundraising, di Henri Nouwen (2011), è un agile volumetto che in cui l’autore incoraggia a vedere la raccolta di fondi come un lavoro spirituale e ad affrontarla con sicurezza. «La raccolta di fondi è esattamente l’opposto di chiedere l’elemosina» sottolinea Nouwen.