Droghe. La guerra alle sostanze è un fallimento, il nuovo modello si fonda sulle relazioni
Nella giornata contro l’abuso di sostanze incontro tra le istituzioni e gli operatori del settore. Oltre 100 le nuove sostanze inserite nel mercato durante la pandemia. La ministra Dadone: “Conferenza annuale entro l’anno, affrontare il problema oltre le posizioni ideologiche”
Non più solo guerra alle sostanze: la lotta alle dipendenze deve ripartire da un modello che guardi alle relazioni, innanzitutto quelle educative e terapeutiche. In occasione della Giornata Internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droghe, si è svolta stamattina la videoconferenza "Dalla rete delle relazioni alle nuove politiche sulle dipendenze", organizzata dalle principali organizzazioni del privato sociale accreditato: Cnca, Fict, Intercear. Un momento di confronto, tappa fondamentale verso la Conferenza sulle droghe, che ha visto coinvolti i responsabili istituzionali, come la ministra per le Politiche giovanili con delega alle politiche antidroga e Flavio Siniscalchi, Capo del Dipartimento per le Politiche Antidroga.
"Per un anno e mezzo, a causa della pandemia, i nostri ragazzi sono stati privati della possibilità di relazione con l’altro. C’è un bisogno primario di legami, soprattutto per chi è in una condizione di disagio - sottolinea Luciano Squillaci, presidente della Fict -. Sappiamo ormai bene che nella battaglia alle dipendenze inseguire la sostanza è un fallimento, già lo abbiamo vissuto. Quello che riteniamo fondamentale è reimpostare un modello che metta al centro le relazioni, educative e terapeutiche, con uno sguardo al territorio in termini di accompagnamento e benessere”. Per Squillaci, dunque, è necessaria una nuova governance di sistema, “per garantire la capacità di prendere in carico in senso comunitario la questione delle dipendenze: dai servizi di prossimità, che vanno rilanciati e rinforzati, ai servizi più strutturati, come quelli terapeutici e riabilitativi”. “Avevamo un modello 20 anni fa, e venivamo chiamati ovunque in Europa a parlarne. Purtroppo quel modello è rimasto identico: siamo fermi a un sistema classico in cui l’innovazione è data solo dalla buona volontà degli operatori - afferma -. Questi hanno fatto innovazione nonostante il silenzio assordante della politica. Oggi, però, tira un’aria nuova”.
Il riferimento è alla sponda offerta al mondo del terzo settore dalla ministra Dadone che ha aperto a una nuova Conferenza nazionale sulle droghe, un luogo dove gli operatori e le istituzioni potranno tornare a confrontarsi. Secondo la ministra, la Conferenza va organizzata “entro la fine di questo anno”. “Purtroppo, si fa troppa attenzione a schieramenti e ideologie e ci si dimentica delle persone, che invece hanno bisogno di un supporto per rispondere alle loro fragilità - afferma -. Il Covid, invece, ci ha insegnato che è importante riportare le persone al centro”. Stando ai dati: il consumo di cannabis sarebbe in diminuzione mentre è quadriplicato nell’ultimo anno l’uso della cocaina. “Dietro questi dati freddi ci sono diverse problematiche - aggiunge Dadone -. Non serve andare dietro la tracciabilità delle sostanze, ma lavorare in un’ottica preventiva. Far capire, cioè, cosa c’è dietro, anche in termini di complessità riabilitative. Inoltre, bisogna superare lo stigma di chi è tossicodipendente. La Conferenza ci deve vedere pronti ad affrontare questa tematica scevri da posizioni ideologiche”.
Anche per Siniscalchi è “importante fare un ragionamento che vada oltre i pregiudizi e che si basi sui dati scientifici riportati nella relazione annuale”. Il dipartimento ha già avviato un percorso di confronto: il 5 luglio è previsto un incontro con i referenti regionali, con le reti e le comunità, per ragionare sulla metodica e sulle modalità della Conferenza annuale: “l dibattito che nascerà, e che abbiamo promosso, tenderà a includere la più ampia platea possibile, accogliendo tutte le posizioni”,
Riccardo De Facci, presidente del Cnca, ricorda che nel settore sono impegnati 7 mila operatori pubblici, che insieme a quelli del settore privato arrivano a circa 20 mila persone. Sono invece circa 200 mila gli utenti dei servizi, 25 mila dei quali seguiti dalle comunità. “Trent’anni fa per la prima volta siamo arrivati alla costruzione di un sistema, abbiamo immaginato 14 tipologie diverse di servizi - spiega -. Oggi il nodo da discutere è rivedere le proposte che di questa ricchezza possano fare anche innovazione”. Secondo De Facci, bisogna innanzitutto ripensare il sistema a partire da una logica sociosanitaria, considerando sia la riduzione del danno che il gioco d’azzardo. “Il problema sono i nuovi consumi e questo non è solo un problema sanitario - aggiunge -. Ci sono poi temi che dobbiamo riprendere in mano come le segnalazioni alle prefetture, che devono diventare strumenti del nostro sistema. Quei ragazzi presi con le sostanze dobbiamo inserirli in una logica educativa e relazionale, spesso non abbiamo davanti grandi criminali ma ragazzi che hanno fatto un errore. Deve esserci poi un rapporto più fluido tra sert e comunità”. Per il presidente del Cnca il ragionamento va sviluppato su quattro assi: innanzitutto bisogna tornare a parlare dello spaccio come elemento di un sistema; inoltre bisogna riflettere sul tempo ancora troppo lungo tra la segnalazione di una problematicità e la presa in carico da parte dei servizi; serve poi un nuovo budget di cura che “inizi a parlare di care e non solo di cure”. Infine c’è il tema del reinserimento socio lavorativo.
Per Giovanni Pieretti, presidente di Comunitalia, è anche “necessario riattivare il fondo nazionale di lotta alla droga, che aveva reso possibile l’ attivazione di progetti molto importanti”. Guido Faillaci di Federserd sottolinea come sia importante oggi “far interagire le istituzioni per poter dare una risposta globale al problema: sono ben 119 le droghe sintetiche individuate solo quest'anno, nonostante la pandemia. L’attenzione deve essere ai massimi livelli”.