Donne, salute e quella cosa chiamata violenza

DONNE SENZA DIMORA  Problemi psichiatrici, maternità perduta e violenza sulla strada e prima. Sono molte le iniziative di Binario 95 per tutelare le donne, tra questi "Empowomen" e "Dottor Binario".

Donne, salute e quella cosa chiamata violenza

Salute, donne e strada è uno dei temi più delicati per gli operatori che si occupano di persone senza dimora nella Capitale. Binario 95 in questi anni ha incrementato i suoi servizi di tutela per le donne fragili o vittime di violenza, attivando, assieme a vari partner, diversi servizi di tipo socio-sanitario. Servizi che, in particolare durante la pandemia, hanno permesso a migliaia di persone senza dimora, di cui il 30% donne, di poter usufruire dell’accoglienza presso il circuito istituzionale di Roma Capitale, garantendo ancora oggi visite specialistiche e assistenza psichiatrica gratuita alle donne che vivono in strada le loro giornate.

Pino Riefolo e Angela Tirabasso sono due psichiatri in pensione con una lunga esperienza nel campo dei servizi territoriali per la salute mentale e un impegno di vecchia data nel volontariato. Oggi attraverso SMES Italia, un’associazione di promozione sociale nata qualche anno fa su impulso dello stesso Riefolo e costituita da esperti e professionisti che lavorano in prima linea con persone senza dimora con problemi di salute mentale, collaborano con gli operatori di Binario 95 all’interno di Area 95, un servizio che ogni giovedì, nei locali del Binario 95, effettua colloqui con persone senza dimora con problemi di salute mentale. “Più che di senza dimora dovremmo parlare di senza servizi, visto che questo tipo di pazienti non trova supporto nei centri pubblici”, afferma Riefolo. Il problema di non trovare una rete di sostegno nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura perché non sono in fase acuta e nei Dipartimenti di salute mentale perché non sono attrezzati ad accogliere pazienti anomali, talvolta con situazioni igieniche difficili da gestire come i pidocchi o la scabbia, diventa particolarmente gravoso per le donne. “Le donne sono ulteriormente penalizzate – ammette Riefolo che, oltre a essere psichiatra, è anche psicoanalista e membro della Società psicoanalitica italiana –. La dimensione della maternità in particolare, influisce sui decorsi psichici femminili. Alcune entrano nel circuito della salute mentale a seguito dell’allontanamento dei figli. Una volta persi i propri bambini, precipitano facilmente in una marginalità prima esistenziale e poi materiale”.

La dimensione della maternità influisce sui decorsi psichici femminili. Alcune entrano nel circuito della salute mentale a seguito dell’allontanamento dei figli. Una volta persi i propri bambini, precipitano facilmente in una marginalità prima esistenziale e poi materiale.

Per lo psichiatra Riefolo la perdita dei figli per una donna può comportare conseguenze ancora più drammatiche di essere inserita nei circuiti della prostituzione, come accade a tante che arrivano da Paesi lontani. Il suo pensiero corre spesso a Grace, una signora nigeriana oggi 45enne, scesa circa 7 anni fa a Catania da un barcone. Grace è partita lasciando a casa tre figli, mentre un quarto lo portava nella pancia. L’impatto con il nuovo mondo è devastante, subito le viene tolto il bambino, che è andato in adozione. Grace crolla. Poco tempo dopo si ritrova per le strade di Roma, dove vive per anni in condizioni di grave degrado. Nel 2017 viene continuamente segnalata alla Sala Operativa Sociale. Ogni volta dichiara false generalità. “Come molte persone straniere, che vedono fallire il proprio progetto migratorio, anche Grace non presenta un reale disturbo psichiatrico – sottolinea Riefolo –. Ha un disturbo post traumatico da stress, che potrebbe essere superato riannodando i fili con il suo contesto di origine. Ma nel suo caso le cose sono più gravi, perché non può rivedere il suo bambino e non riesce a darsi pace per questo”. Senza suo figlio, senza più un progetto, Grace non è più nessuno. È una delle centinaia di donne senza dimora che si aggirano ogni giorno per le strade di Roma, parlando tra sé, o diventando elemento di disturbo alla cosiddetta quiete pubblica. Nella Capitale Grace segue una traiettoria complessa: il suo disturbo mentale non è abbastanza grave per essere ricoverata presso il Servizio psichiatrico ospedaliero e non può entrare in una clinica, perché priva di documenti. Soprattutto, poi, non collabora. Occorre parecchia ostinazione e una certa dose di creatività per farla prendere in carico ai Servizi per la salute mentale e, alla fine, grazie all’impegno di alcune organizzazioni del privato sociale vengono rintracciati i familiari in Nigeria: ha un padre, una sorella e tre figli, che la credevano morta. Durante uno degli incontri presso Area 95, viene organizzata una videochiamata, lei parla a lungo con loro, ma poi nega che siano suoi parenti. “Non può accettare il fallimento del progetto migratorio né di aver perso il suo bambino”, commenta Riefolo. Subito dopo, però, riferisce alle operatrici di avere a disposizione in un luogo sicuro 2.500 euro, che è riuscita a nascondere, non si sa come, nei lunghi anni della strada. “È tutto quello che è riuscita a mettere in salvo del suo progetto migratorio, dei soldi da mandare ai suoi figli”, aggiunge lo psichiatra. Grace ha accettato di firmare la richiesta di rimpatrio assistito e oggi, in attesa di poter tornare a casa, dorme nell’ostello della Caritas, che ogni giorno deve lasciare alle 9 del mattino per potervi fare rientro alle 17 di sera.

Anche durante la pandemia i servizi di Binario 95 per la tutela della salute sono stati incrementati con una particolare attenzione alle donne: oltre 1.500 risultano essere quelle prese in carico all’interno del progetto “Dottor Binario”, realizzato da Binario 95 con l’Istituto IFO San Gallicano IRCCS nella cornice del protocollo “Salute per tutti”, siglato con l’Assessorato alle Politiche Sociali e Salute di Roma Capitale insieme ad alcune organizzazioni sanitarie tra cui la stessa SMES Italia. Oltre 3.500 tamponi e 1.000 vaccini sono stati realizzati in favore di donne fragili o senza dimora. A questi negli ultimi mesi si sono aggiunti dei servizi di screening e cura dermatologica, cardiologica e anche ginecologica. Le donne accedono telefonando al numero unico 0694809595, vengono intercettate dall’Help center della stazione di Roma Termini o dallo Sportello Unico Accoglienza Migranti di Roma Capitale, dove una volta a settimana i dottori dell’IFO, insieme al personale di Binario 95, effettuano degli screening di prima presa in carico sanitaria per poi orientarle verso ambulatori specializzati dello stesso ospedale dove poter continuare le cure. “Le donne presentano le maggiori fragilità – commenta Aldo Morrone, direttore scientifico dell’Istituto San Gallicano –. Insieme a loro abbiamo deciso di avviare una campagna per la diagnosi precoce di patologie dermatologiche, veneree e soprattutto la visita ginecologica, rivolta alla ricerca della presenza del Papilloma Virus. Già oltre 100 donne hanno partecipato attivamente a questa campagna, nella consapevolezza di poter ricevere precocemente una diagnosi di carcinoma della cervice uterina e di poter, eventualmente, guarire da una patologia che, se non diagnosticata per tempo, può mettere a rischio la loro vita. L’impegno di numerose operatrici socio-sanitarie e del personale medico ci ha permesso di mettere al centro delle nostre attività la salute delle donne, nella certezza che progetti di alto valore clinico-scientifico e a basso costo, possano rappresentare il futuro di una politica per la salute senza esclusioni”.

L’intervento per la tutela della salute delle donne fragili realizzato da Binario 95 non si ferma a Roma. Con il Progetto “Empowomen”, e grazie alla collaborazione con la Fondazione IncontraDonna Onlus, da settembre 2019, all’interno della rete degli Help Center dell’Osservatorio Nazionale della Solidarietà, nelle Stazioni italiane viene realizzata un’azione di screening a livello nazionale. L’obiettivo del progetto è quello di promuovere la salute delle donne attraverso visite mediche specifiche, favorendone il coinvolgimento nelle comunità di riferimento mediante percorsi personalizzati. Si parte dalla premessa che, in condizioni di forte disagio, le donne non prestino sufficientemente attenzione alla propria salute, se non a fronte della comparsa di sintomi molto dolorosi o invalidanti. Così, ogni anno, in ciascuno degli Help Center coinvolti nel progetto vengono realizzate delle Giornate della prevenzione in cui è possibile effettuare visite mediche ed ecografie addominali, mammarie e tiroidee.

“Siamo partiti da una prima valutazione dei bisogni delle donne vulnerabili, che avevamo di fronte, per costruire una progettualità di prevenzione – spiega Adriana Bonifacino, presidente della Fondazione IncontraDonna, da anni impegnata con Ferrovie dello Stato Italiane nella campagna di sensibilizzazione per la prevenzione del tumore al seno “Frecciarosa” e con il progetto “Dottor Binario per una attività di prevenzione negli Help Center “Si tratta di una popolazione che noi medici raramente incontriamo, se non nei Pronto Soccorso – prosegue la dottoressa –. Di prevenzione si parla in genere come di un atto estremamente anticipatorio, ma in questo caso abbiamo dovuto trasferire tale concetto in un contesto di emergenza, concentrandoci su quelle problematiche che più potrebbero peggiorare la condizione di salute di una fascia di donne così vulnerabile”. “Empowomen”, però, va oltre l’aspetto prettamente sanitario per concentrarsi, appunto, su una visione più ampia di qualità della vita. “Non incontriamo solo donne senza dimora, ma anche donne vittime di violenza e tutte quelle che, per una ragione o per l’altra, si trovano ai margini – sottolinea Franca Iannaccio, socia fondatrice della Europe Consulting Onlus e responsabile del progetto –. Queste donne sono spesso vittime dello stigma, e lo stigma produce altro stigma. L’idea è quella di agganciare le donne vulnerabili attraverso i controlli medici per poi accompagnarle in un percorso di empowerment e di recupero di un ruolo all’interno del contesto sociale di provenienza, proprio a partire dalla cura della salute”.

La legge della strada è questa: l’uomo che ti proteggerà dagli altri uomini potrà essere lui stesso violento contro di te.

Nella vita delle donne senza dimora infatti c’è spesso una storia di violenza, e non è detto che sia subita per la prima volta in strada. Spesso l’hanno già sperimentata in precedenza, tra le pareti domestiche, con i loro mariti e compagni. In alcuni casi è proprio per sfuggire agli abusi che si sono trovate senza un tetto sulla testa, cadendo nella spirale drammatica di una violenza che determina esclusione sociale e di un’esclusione sociale che determina violenza. Alcune ricerche europee mettono in luce come la violenza inflitta da un partner tra le pareti domestiche sia tra i motivi principali che conducono le donne alla condizione di senza dimora: avrebbero subito violenza il 40% delle donne senza dimora in Irlanda e nel Regno Unito e il 50% in Portogallo e in Spagna. “Spesso le donne che fuggono dalle violenze domestiche non hanno un posto dove andare, una soluzione ponte che garantisca loro la serenità indispensabile per riorganizzare la propria vita in un momento così difficile – continua Franca Iannaccio – . Riescono a trovare soluzione temporanee, come stare da amici e parenti, ma quando queste offerte non sono più disponibili alcune finiscono in strada, dove si innescano circuiti di ulteriore marginalità che favoriscono il perpetrarsi di situazioni di violenza. D’altra parte gli stessi centri antiviolenza sono in perenne ristrettezza di risorse e le case rifugio romane non hanno posti disponibili sufficienti rispetto alle richieste”. Chantal è italiana. Fin da subito ha dovuto fare i conti con il disagio e le difficoltà: abbandonata la famiglia all’età di 14 anni, entra ed esce dal carcere minorile e dalle case-famiglia, dalle quali spesso scappa, ritrovandosi a fare vita di strada. Da sola, senza un tetto che la ripari dal mondo, Chantal non ha molte alternative: deve trovare un uomo che la protegga. Non importa quanto tossici possano essere i rapporti che intesse con gli uomini con cui si accompagna, non importa quanto questi la trattino male, lei non ne puoi fare a meno. La legge della strada è questa: l’uomo che ti proteggerà dagli altri uomini potrà essere lui stesso violento contro di te.

Può capitare che le donne senza dimora entrino nelle grazie degli abitanti del quartiere o dei passanti. Non sono soltanto le associazioni di volontariato o le organizzazioni del privato sociale a prendersi cura di loro. E non è raro che qualcuno porti loro del cibo, un maglione caldo, un caffè. Più spesso, però, la loro presenza nelle strade della città assurge a simbolo di sporcizia, incuria, abbandono. Per lunghi mesi Giovanna è stata la star del degrado. La sua fotografia, mentre in un angolo della Stazione Termini faceva ciò che avrebbe dovuto fare in bagno, pubblicata sui social del sito Internet “Roma fa schifo”, ha ottenuto milioni di visualizzazioni. “Per fortuna lei non ha mai saputo di essere così famosa”, commentano gli operatori dell’Help Center di Binario 95. Perché proprio nel momento in cui la sua immagine faceva il giro del web, Giovanna cominciava a fidarsi di quelle persone che ogni giorno provavano a fare due chiacchiere con lei. Dietro la donna che fa i propri bisogni a cielo aperto c’è una storia, che comincia a tratteggiarsi via via che il rapporto di quella stessa donna con gli operatori si rinsalda. Giovanna arriva da un piccolo paese del Sud Italia. La madre non ce l’ha, il padre fa il contadino. È nata alla fine degli anni Settanta, ma vive come mezzo secolo prima. Al posto di andare a scuola, aiuta il padre in campagna. Poi trascorre un lungo periodo con la nonna. In quella fase qualcuno abusa di lei. Crolla e finisce in un istituto psichiatrico. Si innamora di un altro paziente e, insieme, scappano. Vogliono costruire una vita comune, ma i soldi che lei ha messo da parte grazie a un tirocinio retribuito sono troppo pochi. Non bastano. Dopo meno di un mese lui sparisce. Non ha nessuno a fianco Giovanna, Roma è grande, non ha casa né soldi. Subisce di nuovo violenza, in strada non è cosa rara. Ingrassa, smette di lavarsi, di cambiarsi: rendersi ripugnante è il modo più efficace per proteggersi dagli stupri. Trascorre sei mesi in stazione, nascosta in fondo a un binario. Vorrebbe diventare invisibile, ma ottiene esattamente l’effetto opposto. I giornali parlano di lei, arrivano i fotografi. “A un certo punto siamo riusciti a convincerla a venire a farsi la doccia al Binario 95”, raccontano gli operatori dell’Help Center. La prima volta reagisce malissimo: “Entra, insulta tutti e scappa. È il primo passo, fondamentale. Il secondo è l’alleanza terapeutica instaurata con lo psichiatra del Centro di salute mentale, che la prende in carico, nonostante non abbia ancora la residenza a Roma. Il terzo passo è la carta d’identità, che la riempie di una gioia tale da stupirci tutti ed infine la tessera elettorale. Ci disse: ‘Ora posso scegliere chi sarà a decidere anche dei nostri servizi?’”. Oggi Giovanna vive in una casa famiglia, va in piscina per dimagrire, ascolta la musica, a volte prepara la cena per le sue compagne. Ha scoperto la lettura e, grazie ai laboratori di scrittura, ha cominciato a mettere nero su bianco le parole per raccontare la propria vita. Ha anche frequentato un corso di sartoria e nulla le dà maggiore gratificazione di vedere qualcuno indossare una borsa che lei stessa ha cucito con le proprie mani.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)