Donne migranti. “Las leonas” il docufilm delle calciatrici invisibili
Quanti di noi conoscono la storia delle donne che puliscono la nostra casa? Qualcuno ha voluto raccontarla, aprendo uno spunto di riflessione su questo argomento che è al centro del docufilm “La leonas”, il cui titolo non nasconde di cosa si parla: leonesse nella giungla di una città, che in questo caso è Roma, ma potrebbe essere qualsiasi altra
I mezzi di comunicazione che ci seguono ovunque ed abbiamo sempre a portata di mano, o forse sarebbe meglio dire in mano, ci fanno pensare di essere in grado di sapere tutto e di conoscere chiunque, in realtà spesso riusciamo a sapere solo quello che vogliamo, perché non siamo capaci di andare oltre. Limitiamo i nostri interessi per avvalorare le nostre teorie, dimenticandoci di guardare intorno, facendo attenzione al mondo che ci circonda. Quanti di noi, ad esempio, conoscono la storia delle donne che puliscono la nostra casa? Non quelle notizie sommarie tipo il nome, l’età e la provenienza, ma qualcosa di più intimo sulla loro vita, sul loro dolore. In realtà spesso non sappiamo bene neanche la provenienza e, dapprima, sono state semplificate con “filippine”, in seguito sono diventate “dell’est”, “africane” o “sudamericane”. Eppure fanno parte ormai della nostra quotidianità, basterebbe essere un po’ meno distratti per accorgersi di come ce ne siano tantissime che, spesso trafelate e vestite comode, quotidianamente percorrono in lungo ed in largo le nostre città, su mezzi pubblici o mezzi alternativi come monopattini e biciclette. Assomigliano molto a quella donna a cui anche noi affidiamo la nostra casa per le pulizie, lasciandole i soldi sul tavolo per le ore lavorate, magari con un messaggio affianco se vogliamo che ci stirino i pantaloni o ci sistemino il letto. Alcune volte lasciamo anche un piccolo regalo o qualche altra gentilezza, raramente però ci fermiamo a parlare con loro, perché in fondo fanno quei lavori che noi non riusciamo a fare in casa e, spesso, lo fanno proprio mentre noi non ci siamo. Viviamo gli stessi spazi quasi fossimo in dei mondi paralleli, ci accorgiamo di vivere assieme solo quando la cronaca stimola il nostro sentimento negativo. La quotidianità la diamo per scontata, o forse la rifuggiamo perché abbiamo paura che sia scomoda e ci rovini la nostra tranquillità, gravandoci di un peso ulteriore. Qualcuno ha voluto invece raccontarla, aprendo uno spunto di riflessione su questo argomento che è al centro del docufilm “La leonas”, il cui titolo non nasconde di cosa si parla: leonesse nella giungla di una città, che in questo caso è Roma, ma potrebbe essere qualsiasi altra.
“La nostra storia è nata perché avevamo un’amica dell’Ecuador che ci parlò di queste donne che giocavano a calcio la domenica, che anche se facevano dei lavori difficili e faticosi, appena avevano tempo si andavano ad allenare e giocavano. Un giorno siamo andati a vedere chi fossero queste donne, le abbiamo viste giocare ed è stata un po’ una folgorazione per noi”.
Sono queste le parole di Chiara Bondì, regista del docufilm assieme a Isabel Achàval, intervenuta il 5 ottobre alla presentazione al Cinema delle Provincie di Roma. “Erano meravigliose, piene di passione, di divertimento e di grinta. Subito ci è saltato agli occhi il contrasto tra questo gioco, questo loro desiderio, non solo amatoriale per alcune che avrebbero voluto diventare delle calciatrici, ed una vita faticosa, difficile ed impegnativa anche in termini di tempo di lavoro”. Il docufilm racconta la storia di alcune delle ragazze che animano il campionato amatoriale di calcio a 8 femminile che si disputa sul campo della Vis Aurelia a Roma, giocatrici provenienti da ogni parte del mondo, Capoverde, Cina, Marocco, Moldavia e, soprattutto, dal Sud America, tanto da giustificare l’attenzione della web radio in lingua spagnola Vox Mundi, che segue da vicino tutte le partite con cronache dirette. Le loro storie fanno riflettere, tutti i giorni in giro da una parte all’altra di Roma a disbrigare lavori nelle case di diverse persone; e nel loro unico giorno libero, la domenica, dentro il campo con l’energia e la voglia di vincere. Una forza che dimostrano nelle loro confidenze private, confessando di essere fuggite da povertà e violenza, a caccia di diritti, scontrandosi con doveri disonesti, sfruttamento e anche incontri sfortunati con uomini vigliacchi che, dopo averle messe incinte, le hanno abbandonate. Vicende commoventi, soprattutto pensando che potrebbero essere in ognuna delle nostre case, dietro quegli occhi uguali a quelle donne che in un campo di calcio mostrano la loro voglia di riscatto ed i loro sogni che, nella maggior parte dei casi, non sono egoistici ma interessano figli, nipoti e familiari, palesando l’altruismo che passa dal sacrificio.
“È stato triste vedermi”,
confessa Elvira, parlando alla presentazione del suo intervento nel docufilm e di come l’abbia fatta riflettere confrontarsi con le storie delle altre donne.
“Certe volte ti domandi: forse sono l’unica a sentirmi male? E invece no, ci sono altre persone come te. Ognuna ha la sua storia ed è bello condividere ed aiutarsi a vicenda”, ammette.
“Siamo partite dal nostro Paese per un’avventura, un sogno. Siamo arrivate in questo Paese e abbiamo passato il temporale”, le parole di Lucero, anche lei nel docufilm come speaker radio:“Siamo delle leonesse, abbiamo superato delle prove che ci hanno fatto diventare più forti”.Valore aggiunto del docufilm è certamente la produzione del regista e attore Nanni Moretti, che ha spiegato l’importanza del suo intervento, non solo nel cameo all’interno della pellicola ma soprattutto come valore sociale,
“quando le due registe mi parlavano della loro idea mi sembrava un’idea forte ed importante. Mi sembrava importante dare visibilità a persone che vivono e lavorano accanto a noi, spesso nelle nostre case, però sono come invisibili”.