Dalla Guinea all'Italia, tutti i "goal" di Cherif Karamoko
Nel suo paese giocava a calcio (senza scarpe) già a 7 anni. Ha affrontato guerra, povertà e torture in Libia. Dopo un viaggio doloroso e la traversata del Mediterraneo, in cui ha perso il fratello, l'esordio in serie B ha coronato il suo sogno
Quando Cherif vede per la prima volta il prato sintetico, dove avrebbe fatto il suo provino per entrare al Padova, non riesce a credere di poter poggiare i piedi su un campo così bello. Notando la bravura degli altri giocatori si chiede se davvero può farcela. L’ansia inizia a salire: davanti a sé ha finalmente l’occasione di dimostrare chi è e che, nonostante i suoi incontri precedenti col pallone da calcio siano stati molto diversi da quelli degli altri ragazzi sul campo, anche lui ha la stoffa del campione.
Cherif inizia a giocare a calcio a sette anni, nel sud della Guinea. Non solo il prato in cui gioca con un gruppetto di amici non è sintetico; il prato non c’è proprio. In realtà in quei primi tempi Cherif non ha nemmeno delle scarpe. All’inizio fa il portiere, e quando cambia ruolo - ci dice - non se la cava molto bene. Eppure Cherif ricorda che quelli, nonostante le urla dei genitori che lo volevano sui libri piuttosto che dietro a un pallone, sono i momenti in cui il calcio lo diverte di più.
Il viaggio dalla Guinea alla Libia
I continui scontri interetnici, la povertà e la perdita di entrambi i genitori spingono Cherif a guardare più in là, oltre i confini del suo Paese. Vuole seguire le orme del fratello, che nel 2013 ha lasciato la Guinea per trasferirsi in Libia. Nel 2016, dopo tre anni di lavoro, riceve da lui la somma di denaro necessaria per raggiungerlo.
Il viaggio che Cherif e un altro ragazzo intraprendono dura oltre un anno. Iniziano oltrepassando il confine con il Mali, con l’idea di proseguire nel Sahara tramite Kidal e attraversando l’Algeria per poi raggiungere la Libia. Una rotta pericolosa, a causa della presenza di vari gruppi armati, e dal rischio di essere catturati e imprigionati e infatti i due vengono fermati e derubati, disavventura che li costringe a tornare in Mali. Da lì decidono di ritentare attraversando Burkina Faso e Niger, rotta conosciuta per gli altissimi livelli di estorsione a danno dei migranti. Arrivati ad Agadez, Niger, trovano un gruppo di trafficanti che li avrebbe portati a el-Gatrun, in Libia.
Qualcosa però va storto, e una volta in Libia Cherif viene rinchiuso in prigione per due mesi, dove subisce pestaggi e torture. In quel periodo Cherif ha solo 16 anni. Nel raccontarlo, ricorda tutta la sofferenza provata, ma anche l’aiuto di un pensiero sempre presente nella sua mente: il calcio. Una volta uscito di prigione, finalmente riabbraccia il fratello con cui per tutto questo tempo era rimasto in contatto telefonico, e assieme si spostano a Tripoli dove rimangono qualche mese. Poi, sempre con il fratello, Cherif s’imbarca per l’Italia. All’arrivo in Calabria, però, è solo.
Le prime sfide in Italia
Ciò che ricorda dei suoi primi mesi in Calabria sono il freddo invernale, un freddo mai sentito prima in vita sua, la fame persistente, e lo shock per la perdita del fratello. Anche qui, il calcio è sempre in testa, l’unica cosa che gli fa dimenticare il dolore. Nel centro d’accoglienza sono in molti che vogliono giocare, e dopo alcuni mesi passati a correre ed allenarsi per riprendere la forma fisica, Cherif si unisce a loro per le loro partite in spiaggia. Dopo sette mesi dal suo arrivo, Cherif viene trasferito in un centro vicino a Padova. Presto arrivano nuovi stimoli positivi ad animarlo. Infatti, la mattina dopo il suo arrivo, Cherif sente bussare alla porta della stanza dove dorme. Chiede che succede, e alla frase “devi andare a scuola” risponde con un gran sorriso.
La voglia d’inclusione...
Il Veneto diventa presto “casa” per Cherif, anche se la vita per un giovane richiedente asilo che vive in un centro d’accoglienza non è cosa facile. Oltre alla la costante mancanza di soldi, Cherif si confronta presto con episodi di discriminazione e razzismo.
Tra tutti, c’è un episodio che lo segna particolarmente. Un giorno Cherif si trova in tram a Padova, seduto, quando una signora sale a bordo. Vedendo che il tram è pieno, Cherif si alza offrendole il suo posto. “Non posso sedermi nel posto di un nero,” risponde la signora, “questo non è il tuo posto; devi tornare a casa tua.” Cherif colto di sorpresa, resta ferito da quelle parole ma non dice nulla. Quell’episodio pone Cherif davanti le due facce della medaglia: in molti assistono alla scena e si avvicinano, chiedendogli se sta bene, e dicendogli di non dar peso a quelle parole.
Di episodi simili Cherif ne vive molti. Quando accade, il ragazzo cerca sempre di mettersi al posto dell’altra persona e di capire cosa lo spinga a comportarsi così. Col tempo, comprende che una delle cause che si cela dietro quel comportamento è non sapere ciò che ha vissuto in Guinea.
Per fortuna però non è sempre così. Infatti, da quando è in Italia Cherif ha conosciuto tantissime persone positive, che lo hanno accompagnato nel suo percorso. Pensa che a far la differenza siano tre cose. La prima è viaggiare, per uscire dalla bolla che tendiamo a crearci intorno e vedere con i propri occhi che esistono realtà molto diverse. La seconda è conoscere sé stessi; rendendosi conto che tutti abbiamo pregiudizi di cui non siamo consapevoli. La terza, infine, è cercare di conoscere gli altri e provare a mettersi nei loro panni.
... e il sogno del calcio
In questo periodo Cherif non perde mai di vista l’obiettivo: giocare a calcio. L’occasione arriva quando una conoscente, ascoltando per caso la sua storia, decide di scrivere a diverse squadre per fargli ottenere un provino. La prima risposta giunge da una squadra di serie D, poi dal Padova, squadra di serie B. Con quest’ultima il provino è un successo.
Il giorno del suo esordio, Cherif chiama la sorella in Guinea. Lei, fiera del fratello, coglie l’occasione per ricordargli un episodio della sua infanzia. Cherif aveva dodici anni, la sua squadra aveva vinto un trofeo grazie a lui. Dopo la premiazione sono entrati tutti in casa sua cantando e tenendolo sulle spalle. Sua madre, allora malata, lo guardava fiera. C’è una credenza diffusa nel sud della Guinea: se un gruppo di persone ti solleva così, diventerai qualcuno. Ed è così che Cherif apprende che, nonostante sua madre non avrebbe mai assistito al suo successo, in quel momento aveva capito già che il figlio sarebbe riuscito a realizzare il suo sogno.