Cronicità: liste di attesa in aumento con la pandemia. Un paziente su 5 rinuncia alle cure per i costi
Il Rapporto di Cittadinanzattiva. La pandemia ha avuto un impatto positivo sui servizi di telemedicina, sono però acuiti i problemi già evidenti. Un paziente su due (52,4%) ritiene aumentate le criticità, Il 40,5% dei cittadini dichiara che è più difficile effettuare una visita specialistica. Negative ma stabili le segnalazioni di ritardi negli interventi chirurgici, lo segnala 1 cittadino su 3. I caregiver chiedono più riconoscimenti e tutele
Un paziente su due dichiara che con la pandemia sono aumentate le criticità nell'accesso alla diagnosi e cura per la propria patologia. A subire rinvii e ritardi sono ancora le visite specialistiche e diagnostiche, in aumento le difficoltà ad attivare l'assistenza domiciliare integrata e a farsi riconoscere l’invalidità o handicap. Va meglio sul fronte della prevenzione, grazie al recupero di alcuni ritardi negli screening programmati e nelle vaccinazioni ordinarie. Dalla pandemia inoltre un impulso positivo alla telemedicina. Ed ancora: costi privati in aumento per un paziente su due e uno su cinque è stato costretto a rinunciare alle cure per motivi economici.
Insieme alle difficoltà e richieste dei cittadini affetti da una patologia cronica e rara, ci sono quelle dei caregiver familiari - oltre 7 milioni in Italia - che chiedono meno burocrazia e più tutele a livello lavorativo e, i più giovani, nel percorso di studi. E’ quanto emerge dal XIX Rapporto sulle politiche della cronicità di Cittadinanzattiva, dal titolo “La cura che (ancora) non c’è”, presentato oggi e realizzato con il coinvolgimento di 64 associazioni di pazienti con patologia cronica e rara aderenti al CnAMC (Coordinamento nazionale Associazioni Malati cronici) e di circa 3000 pazienti.
Le criticità affrontate
Circa tre associazioni su quattro denunciano la presenza di importanti differenze sul territorio nazionale e regionali sulla gestione e presa in carico dei pazienti: ad esempio, solo poco più di una su due (52,3%) afferma che sono presenti ovunque i registri di patologia (archivi informatizzati con i dati dei pazienti) e i cosiddetti PDTA (Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali).
Quasi un cittadino su due (48,8%) ha avuto difficoltà nell’ottenere il riconoscimento dell’invalidità e handicap, principalmente perché i medici della commissione sottovalutano la patologia perché non la conoscono, e per i tempi eccessivamente lunghi per la visita di accertamento. Il 62% afferma le criticità sono aumentate con la pandemia.
Più di uno su tre (34,3%) ha incontrato difficoltà per l’assistenza domiciliare integrata, e ben il 71% dichiara che la situazione è peggiorata rispetto al periodo pre-covid: in particolare mancano figure specializzate, oppure si fa fatica ad attivarla o viene sospesa da un momento all’altro.
Più di un paziente su cinque (22,7%) segnala criticità nell’assistenza protesica e integrativa, criticità aumentate rispetto al passato nel 70,8% dei casi. In particolare sono troppo lunghi i tempi di autorizzazione e rinnovo per avere presidi, protesi ed ausili, gli stessi non sono compresi nel nomenclatore tariffario o non sono adatti alle esigenze personali.
“Le risorse che stanno arrivando con il PNRR sono preziose ma vanno accompagnate con misure che ne consentano solidità strutturale anche dopo il 2025, a cominciare da un adeguato potenziamento del personale sanitario, e con la realizzazione di quelli che da tempo sono strumenti prioritari ma ancora non attuati appieno per rispondere alle esigenze dei malati cronici e rari - dichiara Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva -. Si tratta innanzitutto di dare ovunque ed uniforme attuazione, tanto al livello regionale, quanto a quello aziendale, ai PDTA e al Piano nazionale delle cronicità e monitorare il raggiungimento degli obiettivi previsti; di finanziare e monitorare il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) su tutto il territorio, al fine di ridurre le diseguaglianze tra regioni ed assicurare a tutti i cittadini pari diritti. Tutto questo è importante che sia fatto attraverso un confronto costante con i cittadini e le associazioni di tutela dei diritti dei pazienti che, in questo anno e mezzo di pandemia, hanno mostrato di essere un fondamentale tassello del welfare del nostro Paese”.
Dopo la pandemia, fra servizi attivati e liste di attesa
Se da un lato la pandemia ha avuto un impatto positivo sui servizi e programmi di telemedicina che, a detta dell’oltre il 58% delle associazioni, sono stati incrementati, e sul rafforzamento del ruolo delle stesse associazioni che hanno attivato o ampliato gli spazi e gli strumenti di informazione, tutela e advocacy per i propri pazienti, dall'altro lato ha acuito problemi già evidenti anche prima dell'emergenza. Un paziente su due (52,4%) ritiene aumentate le criticità, il 41,4% invariate e il 6,2% leggermente peggiorate.
Il 40,5% dei cittadini dichiara che è più difficile effettuare una visita specialistica a causa degli ambulatori chiusi o delle liste di attesa (lo scorso anno la percentuale delle segnalazioni era del 35,3%). Stessa situazione ci viene segnalato per quanto riguarda le prestazioni diagnostiche e ricoveri sempre a causa della lista di attesa si passa dal 36,5% al 39,9% e ancora anche per le prestazioni diagnostiche in generale. Negative ma stabili le segnalazioni di ritardi negli interventi chirurgici, lo segnala ancora un cittadino su tre.
I pazienti lamentano anche una minor attenzione al dolore collegato alla propria patologia: lo denuncia il 34,5% rispetto al 26,4% dello scorso anno. Sembra riprendere il suo corso la prevenzione, visto che diminuiscono le segnalazioni di interruzione degli screening programmati (dal 38% del 2020 al 32% di quest'anno), e riprendono le vaccinazioni per i minori (si abbassa al 16,5% la quota di chi lamenta ritardi o interruzioni, vs al 34% circa dell'anno scorso) e quelle per adulti (dal 29,7% al 19%). Meno difficoltà anche per ottenere protesi, ausili e dispositivi medici (le segnalazioni calano dal 32,5% al 21%).
I costi. Uno su cinque rinuncia alle cure
I pazienti sostengono abitualmente di tasca propria costi privati necessari alla gestione della patologia. Il 45% circa per l'acquisto di parafarmaci ed integratori non rimborsati, oltre il 40% per effettuare visite specialistiche in regime privato o intramurario, il 36% per la prevenzione terziaria (diete, attività fisica, dispositivi), il 33% circa per effettuare esami diagnostici a pagamento.
Uno su due afferma che i costi sono aumentati rispetto al periodo pre-pandemia e uno su cinque è stato costretto a rinunciare ad alcune cure perché non poteva sostenerne i costi. Si arriva a spendere fino a 60 mila euro per l’adattamento dell’abitazione o la retta in Rsa, 25 mila euro per pagare una badante e 7 mila euro per protesi e ausili non rimborsati dal SSN, solo per citare alcuni esempi.
I caregiver: chi sono, cosa fanno, cosa vorrebbero
Più di un paziente cronico su due (53,2%) afferma che c'è almeno una persona a prendersi cura di lui, nella stragrande maggioranza (98%) si tratta di un familiare.
Sono i cosiddetti caregiver: dimenticati dalle istituzioni, assistono i familiari anche per 20 ore a settimana. Vorrebbero occuparsi meno di burocrazia, essere a fianco della persona più da un punto di vista emotivo e avere maggiore spazio per sé stessi.
Il 47,6% ha fra i 51 e i 65 anni, il 27% 36-50 anni, il 18,7% 66-80 anni, il 4,6% tra i 25-35 anni. Inoltre il 76,8% dei rispondenti è femmina. Oltre il 28% dichiara di dedicare alla cura ed assistenza del familiare più di 20 ore a settimana, e circa il 30% è caregiver da 5-10 anni, un 20% addirittura da più di 20 anni.
Più della metà degli intervistati, il 56,4%, riguarda la cura della sfera emotiva, il 41,6% parla di aspetti burocratici, amministrativi e finanziari, il 39,1% di gestione dell’igiene e cura quotidiana, il 25,2% di assistenza infermieristica.
Il 69,7% sostiene che essere caregiver influenzi la vita familiare significativamente, dal punto di vista emotivo e pratico, perché provoca stress e stanchezza e si ha poco tempo libero per sé e per gli altri familiari. Il 74% delle donne e il 59% degli uomini ha dovuto rinunciare o smettere di lavorare e studiare. Il 64% vorrebbe disporre di più tempo da dedicare a sé stesso/a e alla sua “vita privata”, il 46,6% avere un maggior riconoscimento sociale, il 35,3% avere qualcuno che lo supporti o si faccia carico delle incombenze amministrative e finanziarie correlate alla persona, di modo che si possa dedicare a lei e non alla burocrazia.
Quasi l’80% vorrebbe che gli venissero riconosciute agevolazioni e permessi ulteriori rispetto alla legge 104 e ulteriori contributi, rispetto ai tre anni previsti. Il 43% gradirebbe avere la certificazione di competenze acquisite sul campo e spendibili sul mercato del lavoro (tipo ECM, attestati tipo OSS, iscrizione ad albi o registri specifici). Uno su tre chiede di avere agevolazioni e linee guida uniformi fra gli Atenei per poter effettivamente proseguire gli studi universitari (il 4,6% dei rispondenti alla nostra indagine ha tra i 25 e i 35 anni).