Criptovalute. Rapetto (esperto): “Non sarà facile monitorare e contrastare la virtualizzazione delle monete”
Nell'ultima relazione della Direzione nazionale antimafia si parla dei rischi che le criptovalute siano usate per riciclare danaro dalle mafie o per finanziare il terrorismo. Ormai sono miliardi i dollari scambiati virtualmente. Ne parliamo con il generale della Guardia di finanza Umberto Rapetto, già comandante del nucleo speciali frodi telematiche
“Un paradiso finanziario virtuale” con le criptovalute, come i bitcoin, che stanno diventando sempre più uno strumento per riciclare denaro. A lanciare l’allarme è stata la Direzione nazionale antimafia (Dna), che nel suo recente report annuale sottolinea come l’uso criminale delle valute virtuali riguardi mafiosi e terroristi, oltre che evasori fiscali.
Tra le più utilizzate, il bitcoin risulta la prima moneta per i pagamenti realizzati sul darknet ovvero per il commercio illegale. Tra i fattori di maggior rischio, il fatto che il sistema delle criptovalute abbia natura decentralizzata, che le transazioni possano avvenire non soltanto tra soggetti residenti in Stati diversi, ma anche essere riconducibili a più account in realtà riferibili sempre alla medesima persona e che ci siano espedienti capaci di assicurare, sempre più, un maggior grado di anonimato. Sulla realtà delle criptovalute abbiamo raccolto il parere del generale della Guardia di finanza Umberto Rapetto, già comandante del nucleo speciali frodi telematiche.
Generale, innanzitutto, cosa sono le criptovalute?
Sono l’ultimo passaggio nel processo evolutivo che parte dal baratto e passa per lo scambio di merce contro oro o altri oggetti preziosi, le monete – non necessariamente vincolate al loro peso in un metallo prezioso -, le banconote, le carte di credito, fino allo scambio attraverso transazioni telematiche.
Non ci sono più il dollaro, l’euro, le monete convenzionali, ma si attribuisce un valore a una stringa di caratteri alfanumerici, vale a dire a un insieme di bit, e quindi una manciata di informazioni elettroniche ha un valore che viene riconosciuto da un determinato circuito.
Questo garantisce la massima velocità nello scambio di qualunque operazione cui si voglia dare corso e soprattutto permette la cosiddetta disintermediazione.
Significa che non ho più bisogno di una banca – e ancora meno di una banca centrale – per avere denaro, ma riconosco l’autorità di soggetti che generano una moneta virtuale, cioè intangibile e non tramutabile in una banconota come saremmo abituati, e attribuisco a quella stringa di numeri e di caratteri alfanumerici un determinato valore.
Si chiamano criptovalute: sicuramente la più famosa è il bitcoin che ha cominciato la sua avventura con l’attribuzione di una manciata di dollari. Le dinamiche speculative hanno fatto sì che arrivasse a decine di migliaia di euro con una serie di fluttuazioni preoccupanti per chi volesse avere una certa stabilità.
Questo cosa comporta?
Il vero problema è che questa disintermediazione fa sì che gli scambi avvengano direttamente tra chi il denaro lo invia e chi il denaro lo riceve senza che ci siano controlli né di banche centrali né di banche convenzionali, quelle a cui noi ci rivolgiamo per la gestione del nostro risparmio, il che significa che la legittima provenienza di un certo quantitativo di denaro non è più garantita da nessuno.
Se qualcuno ha possibilità di comprare denaro virtuale, di fatto lo può fare con tutte le garanzie di anonimato. Uno degli appeal, uno degli elementi di richiamo delle monete virtuali, è il fatto che questa stringa di caratteri – che somiglia, se vogliamo, al Dna dell’essere umano – contiene il valore del denaro che viene spostato, la destinazione, cioè il soggetto che lo riceve, e il soggetto che prima lo deteneva, cioè tutta la storia di chi aveva in precedenza quell’insieme di informazioni, quel file come siamo abituati a dire quando ci riferiamo a oggetti informatici. Ma mentre in banca ci viene chiesto un documento, nel momento in cui noi compriamo attraverso internet denaro virtuale come il bitcoin, ci sono mille possibilità per sfuggire a una identificazione.
È vero che ogni passaggio successivo dei nostri bitcoin viene tracciato e viene materialmente monitorato, ma se io mi sono presentato al mio primo acquisto come Topolino o Paperino è ovvio che si saprà che Topolino o Paperino hanno mosso quel denaro, l’hanno spostato, facendo il giro del mondo. Viene, però, meno l’identificabilità del soggetto che si nasconde dietro un soprannome, una sigla, un codice cifrato. Questo è il motivo d’allarme lanciato dalla Direzione nazionale antimafia nella sua ultima relazione.
L’anonimato a quali rischi espone?
Innanzitutto, dover entrare in contatto con un soggetto a cui si va a vendere qualcosa e non si conosce l’identità ci rende potenzialmente partecipi di un’attività delittuosa, nella fattispecie se noi traiamo profitto da denaro che possa essere stato illecitamente guadagnato, di fatto entriamo in quella catena chiamata riciclaggio perché possiamo trarre profitto da denaro proveniente da un’origine illecita.
Ciò va a inquinare tutto quello che può essere il progresso che è stato tanto auspicato nella finanza virtuale e nell’evoluzione del mondo bancario e digitale.
Di qui l’allarme della Direzione nazionale antimafia?
La criminalità organizzata e il terrorismo trovano la maniera di farsi finanziare, questo vale soprattutto per il terrorismo, da potenziali simpatizzanti che, utilizzando la moneta virtuale, sono in grado di arrivare ovunque senza che il loro denaro sia veicolato attraverso i circuiti tradizionali.
Questo garantisce grandi disponibilità di somme per chi ha obiettivi che sono sicuramente non condivisibili.
Come si può contrastare questo paradiso finanziario virtuale che comporta tali rischi?
Non è una cosa facile perché anni addietro già si era parlato del rischio della disintermediazione. Già nel 1999 avevo realizzato uno studio sul “cyberlaundering” (cyber riciclaggio), che dopo vent’anni continua ad essere di estrema attualità. Allora, quando erano pochi a doversi cimentare con queste transazioni, si poteva immaginare una certa facilità di intervento.
Oggi diventa molto più impegnativo, perché i soggetti anonimi sono numerosi e dispongono di sistemi di cifratura – e quindi di protezione – che sono pressocché inviolabili.
Ora si tratta di strutturare delle operazioni di monitoraggio che permettano una catena solidale fatta dal mondo perbene – e cioè il mondo della giustizia, dell’investigazione e bancario – per capire quali di questi flussi di denaro partano dal mondo reale per andare a infilarsi nelle cavità sotterranee del mondo di internet.
Potrebbero essere utili regolamentazioni condivise a livello internazionale?
Se si fosse cominciato vent’anni fa probabilmente avremmo avuto la possibilità di fissare dei paletti e far sì che il passaggio dal denaro materiale al denaro virtuale venisse disciplinato in partenza, adesso il quantitativo di denaro che circola in questi network invisibili è veramente mastodontico. Parliamo di miliardi e miliardi di dollari che sono finiti all’interno di questi circuiti e continuano a essere scambiati in maniera virtuale.
Non c’è una riemersione, per cui torni a essere denaro materiale, anche perché c’è stata una progressiva virtualizzazione dell’economia e, quindi, esistono una valanga di investimenti che possono essere fatti virtualmente.
Lei è abbastanza pessimista…
Credo che ci si sia svegliati troppo tardi. Le poche cose buone vanno salvate, ma occorre un impegno importante sotto il profilo educativo, bisogna fare una buona informazione e soprattutto ci deve essere la massima trasparenza in quello che sta succedendo, a dispetto dei grandi poteri che avranno interesse sempre più a investire in maniera border line. Dopo la parte educativa e informativa, c’è un impatto di carattere organizzativo, bisogna stabilire chi deve occuparsene, come deve lavorare e quali strumenti deve avere a disposizione.
Venendo agli strumenti, questi sono di carattere normativo, legislativo e tecnologico, vale a dire disporre di grandi capacità di calcolo informatico per poter dar luogo a una sorta di monitoraggio che possa cercare di contrastare la virtualizzazione delle monete. Ma non sarà facile.