Credibili? Interrogativo chiave non solo per docenti e comunicatori. Per tutti
Non solo questione di buona reputazione, la credibilità è una questione di esperienza, trasparenza, attendibilità, correttezza e assunzione di responsabilità
Ai primi di settembre tutti gli insegnanti di religione, di tutte le scuole della diocesi, dalle materne alle superiori, hanno tenuto il loro convegno annuale su di un tema molto impegnativo, che non mette in questione solo loro, o solo gli insegnanti (anche se loro in modo molto diretto e impegnativo), ma tutta la società, tutta la Chiesa, e ogni singola persona: la credibilità. Ci sono molte cose che hanno mandato in crisi questa dimensione fondamentale dello stile di vita privato e pubblico, nelle relazioni intime o con estranei. I cambiamenti tecnologici della comunicazione e lo sviluppo dei consumi hanno messo al centro della vita l’individuo, che può scegliere di essere individualista o altruista, uno che pensa solo al proprio tornaconto o una persona che vive in relazioni solidali, perché ha ed esige di poter decidere a chi e a cosa credere, a chi dare e da chi desiderare di ricevere fiducia. In questo clima di impoverimento dei legami sociali, in politica si è visto aumentare il numero di quelli che non votano, le chiese hanno visto aumentare chi non va a messa la domenica (anche se ancora tanti vogliono i funerali, e i ragazzi che scelgono l’ora di religione sono ancora molti). Ma proprio dall’interno della Chiesa cattolica l’emergere in questi ultimi vent’anni di abusi su ragazzi e su donne e la loro copertura da parte delle autorità religiose hanno prodotto una crisi di credibilità di cui adesso si è preso coscienza, indebolendo comunque l’immagine della Chiesa in generale. Poi la pandemia ha fatto emergere conflitti radicali tra chi crede alla scienza e chi quella scienza rifiuta, chi crede agli organi di informazione e chi no. E lo scoppio della guerra in Ucraina ha messo ulteriormente in evidenza come e quanto singole persone e istituzioni possono manipolare le parole e le cose con gli strumenti della comunicazione social e di massa, dichiarando falso ciò che l’altro dice vero-reale, e viceversa. Per tutto questo è necessario capire che la credibilità non è un problema per chi ha potere o per chi fa giornalismo, ma è un valore, uno stile di azione che riguarda il modo di comunicare e di porsi in relazione di ciascuna/o. La credibilità non è solo buona reputazione esteriore, ma esperienza e dimostrazione di attendibilità, di correttezza, di trasparenza, di assunzione di responsabilità della persona, che alimentano la fiducia degli altri. È la fiducia che attiva e rinsalda qualsiasi relazione e comunicazione sociale. Sono tutti atteggiamenti, modi di porsi che si imparano, dentro la famiglia, fuori e dentro la scuola, nel lavoro, e coinvolgono sempre le comunicazioni e le relazioni che si hanno fin da piccoli con gli altri. Si capiscono, se ci pensiamo bene, seguendo proprio le dinamiche della comunicazione (come è stato chiarito tanto tempo fa da una Scuola psico-terapeutica), ed il primo elemento è dato dal fatto che “non possiamo non comunicare”, perché le persone quando incontrano qualcuno, conosciuto o sconosciuto, associano a quello che vedono di lui o lei delle ragioni che non necessariamente ha. Cose che capitano, non sempre con risvolti graditi. Un prete, una religiosa o religioso, solo passando per la strada, senza dire nulla, con il loro atteggiamento stimolano in chi li vede interpretazioni e reazioni diverse, appunto. Un insegnante, ancor più se di religione, viene preceduto dalla propria reputazione (condivisa in chat tra i genitori), e anche solo nei modi di vestire e di gestire suscita reazioni diverse nei ragazzi. Però poi sono fondamentali l’attendibilità e la trasparenza. Attendibilità vuol dire fare e mostrare cose che altri possono ri-fare ottenendo gli stessi risultati, un problema di metodo fondamentale per gli scienziati ma anche per ogni “cercatore” che voglia condividere seriamente quello che ha trovato e il modo con cui lo ha trovato. Il che implica trasparenza su come si fanno le cose, sulle fonti da cui si traggono idee e dati, sulle risorse di cui uno dispone per la sua ricerca. Ma la trasparenza non è un valore molto diffuso nelle istituzioni sociali, nemmeno nella Chiesa, anche se adesso ci si rende sempre più conto di quanto sia necessaria per creare corresponsabilità. Questo si collega a un altro aspetto della normale comunicazione: non tutti i messaggi che vengono dati aiutano gli altri a capire meglio le cose, cioè “informano” davvero: oggi scopriamo sempre più quanto molti soggetti, persone e gruppi, agiscano per “dis-informare”, confondere, offendere la reputazione di altri, nascondendosi spesso nell’anonimato consentito dagli attuali strumenti, in assenza di regole, questo purtroppo anche in ambienti che si dichiarano cattolici. Infine, un elemento fondamentale di cui facciamo sempre esperienza, è nella relazione diretta che abbiamo con ciascun altro, amico o estraneo, che anche senza dir niente si sperimenta il “potere” che uno ha sull’altro, influenza, stima o disprezzo, amicizia, autorità, minaccia: è questo potere che fa interpretare in un modo o in un altro quello che viene detto e fatto. Anche nella chiesa si sta riflettendo molto di più su questo, e non sempre da amici.
Italo De Sandre
già Docente di Sociologia all’Università di Padova e alla Facoltà Teologica del Triveneto