Coronavirus, le associazioni nella pandemia? “L’anima viva della società”
Filippo Diaco, presidente delle Acli di Bologna e membro della presidenza dell'Unione sportiva Acli nazionale, parla della tenuta del mondo del volontariato con il blocco per il Covid-19: “Il terzo settore ha dato un segnale positivo, ora servono progetti concreti per sostenere famiglie e anziani nella fase 2”
“Nelle ultime settimane abbiamo assistito al fiorire di tantissime iniziative da parte del mondo dell’associazionismo e del volontariato: dalla consegna della spesa a domicilio ai corsi di musica o di sport online, dal supporto psicologico in remoto agli eventi culturali in digitale. La risposta a questa crisi è stata molto positiva: questo virus ha dato una grande opportunità alle associazioni, che si sono dimostrate l’anima viva della nostra società, in grado di riorganizzarsi nel giro di poco tempo”. Filippo Diaco, presidente delle Acli di Bologna e membro della presidenza dell'Unione sportiva Acli nazionale, non ha dubbi sulla tenuta del terzo settore durante questa crisi, seppur rispetto al 2008 le associazioni e le cooperative sociali abbiano subito un affondo ben più importante.
“Il nostro settore si basa sulle relazioni umane, proprio quelle a cui ci è stato chiesto di rinunciare durante questa pandemia – spiega –. Oggi i servizi si sono fermati, i circoli sono chiusi, e questo ha comportato una frenata dell’attività, con un conseguente calo del fatturato e migliaia di posti di lavoro a rischio. Nonostante tutto, però, la reazione c’è stata ed è stato fatto un grande sforzo per portare avanti i progetti cominciati prima del blocco. Nella fase 2 dobbiamo stare attenti a fare tesoro di ciò che abbiamo imparato: il governo dovrebbe ragionare su un fondo per sostenere il terzo settore. E poi serviranno progetti concreti per sostenere famiglie e anziani, le categorie più colpite”.
La richiesta è molto semplice: no alla distribuzione di fondi a pioggia, sì alla realizzazione di percorsi strutturati per sostenere le fasce più deboli. “Le famiglie oggi hanno bisogno di un accompagnamento molto saldo – afferma Diaco –. Chi ha genitori anziani da curare, chi ha figli, ma anche chi ha familiari disabili a carico si trova oggi in una situazione di grande difficoltà. Lo smart working non sempre si è rivelata una risposta adeguata: il nostro Paese non era abituato a questa forma di organizzazione del lavoro, e così molti si sono ritrovati a lavorare più del dovuto, oppure a dover anche accudire i propri cari contemporaneamente. Per non parlare di cosa potrebbe succedere se i genitori dovessero ritornare in ufficio mentre le scuole rimarranno chiuse: chi baderà ai figli? Servirebbe un potenziamento dei centri estivi, per offrire il servizio durante tutto luglio e agosto. In quel contesto, lo sport potrebbe diventare uno strumento chiave per la ripartenza”.
Un’altra categoria duramente colpita è quella degli anziani: mentre le scuole di musica, teatro e i corsi sportivi in qualche modo sono andati avanti anche durante la quarantena, i centri anziani hanno completamente interrotto le loro attività, lasciando sole persone che hanno più difficoltà a utilizzare gli strumenti digitali per restare in contatto con il mondo esterno. “Mi auguro che nella fase 2 ci sia la possibilità di fare uscire anche gli anziani dalle abitazioni, con tutte le accortezze del caso – conclude Diaco – . Prevedere la fine del lockdown solo per i cittadini al di sotto dei 65 anni ci sembrerebbe un’azione discriminatoria nei confronti di una parte consistente della popolazione: il rischio è che, alla fine della crisi, aumenterebbe ulteriormente la platea di persone fragili che hanno bisogno di aiuto. Questa pandemia dev’essere per tutti noi una grande lezione di vita: ci siamo riscoperti umani e abbiamo capito che le persone non sono solo numeri, che la relazione è importante. Facciamone tesoro”.
Alice Facchini