Coronavirus, la trincea dei custodi sociali nelle case popolari
A Milano ce ne sono 150 e seguono circa 8mila persone fragili. Varini, coordinatrice dei custodi sociali del Municipio 1: "Cerchiamo di proteggere gli anziani dal contagio. Li chiamiamo spesso, andiamo a fare la spesa per loro. Facciamo in modo che non si sentano abbandonati"
Nelle tante trincee di questa guerra al coronavirus, c'è anche quella dei custodi sociali nei quartieri di case popolari di Milano. Cellulare, mascherine, guanti, ore in fila per fare la spesa per gli anziani, su e giù per le scale dei palazzi. "Ogni giorno facciamo un centinaio di telefonate alle persone sole o ad alcune famiglie in difficoltà. Chiediamo come stanno, se hanno bisogno di qualcosa, scambiamo due chiacchiere", racconta Elena Varini, coordinatrice dei sei custodi sociali presenti nel municipio 1. Anche nel cuore della città ci sono case popolari: corso Garibaldi, via San Maurilio, via Bergamini, corso di Porta Ticinese o via Legnano.
Prima dell'epidemia, seguivano circa 350 persone: le aiutavano nel disbrigo di pratiche, le accompagnavano a visite mediche o a fare la spesa. Inoltre organizzavano nei cortili momenti di aggregazione. L'equipe è composta da operatori della Fondazione Padri Somaschi e delle cooperative Progetto A, Coesa e Ripari e lavorano nell'ambito del progetto del Comune di Milano lanciato nel 2015.
In tutta Milano i custodi sociali sono 150 e si prendono cura di circa 8mila persone fragili. "Da quando c'è il problema del coronavirus abbiamo sospeso tutte le attività aggregative. Gli unici accompagnamenti che facciamo ora sono quelli alle visite mediche -aggiunge Elena Varini-. Il nostro compito adesso è fare in modo che le persone non si sentano abbandonate. Ai più anziani spieghiamo la gravità della situazione e l'importanza di rimanere a casa. E per ogni cosa di cui possono avere bisogno di fare affidamento su di noi".
Tra le persone seguite dai custodi sociali del Municipio 1 c'è un'anziana di 98 anni. "Cerchiamo di proteggere lei e gli altri anziani dal contagio -sottolinea Elena Varini-. Alcuni sono un po' spaesati, c'è chi tende a sottovalutare e chi invece è angosciato. Per questo li chiamiamo spesso. Passiamo poi da loro per portare magari la spesa. Purtroppo non possiamo fermarci più di tanto e dobbiamo adottare tutte le precauzioni del caso: noi con mascherina e guanti rimaniamo sulla porta e loro a debita distanza. Ma è pur sempre l'occasione per scambiare due parole e per far capire loro che ci siamo, che non sono abbandonati".
Con l'emergenza coronavirus si è allargato il gruppo di persone da seguire. "Ci sono infatti figli o nipoti che prima seguivano i loro anziani, ma ora non ci riescono perché magari abitano lontano e gli spostamenti sono molto più difficili -racconta Elena Varini-. E poi assistiamo alcuni senza dimora che girano in zona: per loro la situazione è molto difficile, non sanno dove andare per proteggersi dal contagio".
In queste settimane non sono mancati anche episodi curiosi e belli. "Sono in tanti a chiamarci anche solo per ringraziarci della nostra presenza -sottolinea-. E poi ci sono anziani che guardano già al dopo. Un signore mi ha chiamato per dirmi che non vede l'ora di tornare al nostro laboratorio di storytelling che organizziamo nella biblioteca di condominio di vicolo Calusca. Sono incontri in cui ciascuna racconta storie della propria vita a Milano. Questo signore mi ha detto che, per ingannare il tempo chiuso in casa, sta già preparando alcuni racconti. Così quando riprendiamo sarà già pronto".
Dario Paladini