Coronavirus in Brasile. L’appello dei vescovi: “Non uscite di casa”. Oltre 1.800 casi e 34 morti
In Brasile cresce di ora in ora il numero di contagi, anche se il governo centrale tende a minimizzare. I singoli Stati stanno prendendo invece misure restrittive drastiche e anche la Chiesa brasiliana lancia l'appello a rimanere a casa, delegando ai singoli vescovi il fermo alle celebrazioni. Ad oggi le messe sono state sospese in oltre 155 diocesi. Il messaggio del presidente della Conferenza episcopale del Brasile e una testimonianza da Salvador da Bahia
“Non uscite di casa”: è l’appello accorato, quasi commosso, lanciato in queste ore da dom Walmor Oliveira de Azevedo, arcivescovo di Belo Horizonte (nello Stato del Minas Gerais) e presidente della Conferenza episcopale del Brasile. Anche il più grande Paese dell’America del Sud, con 195 milioni di abitanti, sta facendo i conti con l’emergenza coronavirus: gli ultimi dati, al 23 marzo, segnalano 1891 casi confermati e 34 morti. Con l’incubo che si diffonda nelle favelas, dove le condizioni igieniche sono precarie e c’è enorme sovraffollamento. Un primo caso è stato riscontrato nella favela “Cidade de Deus” a Rio de Janeiro, nota per l’omonimo, famoso film del regista Fernando Meirelles. Ma chissà quanti potrebbero essere i casi sommersi, perché difficilmente le persone malate si recano negli ospedali. “Non uscire di casa – avverte il presidente dei vescovi brasiliani – è un importantissimo rimedio contro coronavirus. E’ ora di collaborare, di avere l’atteggiamento di solidarietà del Buon Samaritano. Se non collaboriamo pagheremo un prezzo troppo alto”.
Il ministero della salute brasiliano ha dato nei giorni scorsi indicazioni chiare ai fedeli delle tante realtà religiose – cattolici, pentecostali, protestanti, candomblé, ecc. – presenti in Brasile: le chiese possono restare aperte ma è meglio non celebrare messe ed evitare celebrazioni che comportano grandi assembramenti di persone.
Il ministero ha anche avviato una massiccia campagna di comunicazione per chiedere alle persone di restare a casa, coinvolgendo medici e infermieri impegnati in prima linea.
I principali focolai del coronavirus sono attualmente concentrati nello Stato di Rio de Janeiro e di San Paolo perciò le misure restrittive sono state prese dai governatori degli Stati e non dal governo centrale, che tende ancora a minimizzarne gli effetti, per paura delle ricadute sul tessuto imprenditoriale ed economico. Da ricordare che il presidente Jair Bolsonaro considera ancora il virus “una piccola influenza”, nonostante alcuni suoi collaboratori, tra cui ministri e senatori, siano risultati positivi di ritorno da un viaggio negli Usa. Buona parte dell’opinione pubblica brasiliana contesta questo suo atteggiamento su Twitter con l’hashtag #Bolsonarogenocida.
Messe sospese in oltre 155 diocesi. La Chiesa cattolica brasiliana (123 milioni di fedeli, il 64% della popolazione) ha lasciato ai singoli vescovi la scelta se continuare a celebrare o meno. Al momento 36 arcidiocesi, 113 diocesi, 5 prelazie e una amministrazione apostolica hanno deciso di sospendere le messe. La stessa decisione è stata presa dalla Chiesa metropolita cattolica ucraina. I vescovi hanno fornito consigli in video su come celebrare messa durante la quarantena collettiva. E l’intera Chiesa cattolica del Brasile si unirà domani alla preghiera comune, alle 15.30 ora locale.
I vescovi brasiliani aderiscono anche alle linee guida diffuse dalla Congregazione del culto divino riguardo alle celebrazioni pasquali, in attesa di indicazioni dalle istituzioni, a seconda dell’evolversi dell’epidemia.
A Salvador da Bahia, nello Stato di Bahia, nord-est del Brasile, sono stati già registrati i primi 28 casi. Il governatore e il sindaco hanno chiuso scuole e università, palestre, spiagge e alcuni negozi e chiesto alle comunità religiose di sospendere le celebrazioni. La maggior parte ha aderito, tranne alcuni gruppi di evangelici che continuano a celebrare con gruppi di 50/100 persone. Lo racconta al Sir padre Alfredo Dorea, responsabile dell’Instituiçao Beneficente Conceiçao Macedo e di Casa Vihda, un asilo per i bambini che convivono con l’Hiv.
Una bella realtà fondata 25 anni fa da Conceiçao Macedo, infermiera oggi in pensione, che si occupa, tra le varie attività, dell’assistenza ai bimbi e ai familiari malati di Aids e della gente che vive in strada. Padre Alfredo e Conceiçao sono in quarantena a casa, come consigliato dalle autorità agli over 60. L’asilo Casa Vidha è stato chiuso fino al 30 marzo ma la quarantena molto probabilmente si protrarrà, visto che il picco dei contagi è atteso in Brasile a fine aprile. “I bambini da noi mangiavano 5 volte al giorno – spiega padre Alfredo, che è anche vescovo della Chiesa anglicana tradizionale – Per non rischiare abbiamo preparato un pacco spesa per ogni famiglia. Stiamo facendo una raccolta fondi per acquistare il cibo sia per le persone che seguiamo, sia per i nostri dipendenti che non possono lavorare. Per ridurre i contatti tra le persone un nostro collaboratore ha fatto una grossa spesa e distribuito i pacchi. Dopo il 30 faremo un’altra distribuzione a tutti”.
“I poveri che vivono in strada e quelli delle favelas sono la nostra principale preoccupazione”.
“Se a Salvador abbiamo solo 28 casi – spiega – vuol dire che le persone non vanno negli ospedali. Finora il discorso di prevenzione è stato rivolto prevalentemente alla classe media e medio-alta. Ma dire ai poveri di lavarsi le mani e rimanere a casa è assurdo, perché la gente di strada non ha casa e non ci sono proposte nei loro confronti. Non abbiamo una struttura sanitaria in grado di accogliere una crescita di contagi, gli ospedali sono pochi e fragili”. “La situazione è preoccupante – conclude – ma stiamo cercando di mantenere alta la speranza tra noi”.
Nessun sostegno al lavoro. Il governo centrale non ha preso finora nessuna decisione per il sostegno ai brasiliani che perdono il lavoro e rischiano di aggiungersi agli oltre 12 milioni di disoccupati. Una società di consulenza prevede che con il coronavirus si toccherà la soglia di 40 milioni di disoccupati. Al contrario aveva emesso un decreto provvisorio – poi ritirato in queste ultime ore – nel quale autorizzava la sospensione dei contratti di lavoro fino a 4 mesi, a tutto vantaggio delle imprese ma non dei lavoratori.