Convegno all'Opsa: nello sport la persona dev'essere al centro e non il risultato
«Perché far fare attività motoria alle persone con qualsiasi tipo di disabilità? La risposta è un'ulteriore domanda: perché non farla fare anche alle persone con disabilità se tutti abbiamo questa possibilità?».
È da questa sollecitazione che Marco Chiarello, chinesiologo all’Opsa (Opera della provvidenza Sant’Antonio), è partito per la sua riflessione nella conferenza svoltasi la mattinata del 10 gennaio 2024, presso il teatro dell’Opsa stessa. Il titolo dell’incontro, "Lo sport tra l’etica e l’essere per tutti", è stato organizzato dai dipartimenti di religione e scienze motorie del liceo Galileo Galilei di Caselle di Selvazzano.
La mattinata ha visto la partecipazione di circa 330 studenti delle classi terze e quarte dell’istituto e diversi insegnanti. I relatori sono stati: Marco Chiarello, Roberto de Vivo (noto professore di scienze motorie e pedagogista in ambito sportivo), Giulia Galtarossa (campionessa di ginnastica ritmica), un intervento video del pallavolista Dragan Travica, Mattia Ramina (atleta della nazionale italiana di powerchair hockey) e Alessandro Padovan (tecnico del Comitato italiano paralimpico e insegnante di tennis in carrozzina).
Al centro delle riflessioni la questione di come lo sport debba mettere sempre al centro la persona e la sua crescita integrale, senza mai porre il risultato come fine. Poi l’inclusione perché l’attività fisica può essere per tutti se vissuta secondo le proprie capacità. A tal proposito Chiarello ha aggiunto di come lo sport consenta di «andare alla scoperta delle abilità di ciascuno, nonostante una carrozzina o altre limitazioni. Questo porta a crescere nell’autostima, riconoscendosi capaci di sviluppare nuove abilità». Ha aggiunto dell’importanza che «a tutti siano date le condizioni per lavorare sulla propria corporeità, sulle abilità di movimento, arrivando ad esplorare i propri limiti». Sono circa 130 le persone ospiti dell’Opsa, seguite nell’attività motoria settimanalmente.
Roberto de Vivo ha parlato dello sport come strumento di benessere se vissuto fedelmente ai valori. Ha ulteriormente messo in evidenza che «se vogliamo parlare di etica, l’aspetto inclusivo deve rappresentare una delle sue caratteristiche ineludibili. È evidente che questo principio non potrà mai tradursi nel motto “tutto lo sport per tutti”, ma in quello “sport per tutti, secondo ciascuno”, creando opportunità per chiunque desideri praticare una sana attività sportiva, indipendentemente dalle maggiori o minori capacità».
Ha quindi citato una nota canzone "Uno su mille ce la fa", richiamando la figura del campione sportivo e aggiungendo che «dei 999 me ne occupo io». Ponendo la domanda «è più importante la prestazione o la persona?», l’esperto, per sottolineare di come in certi contesti l’etica sia stata calpestata, ha fatto riferimento «all’imbarazzante fenomeno delle vessazioni psicologiche di cui sono state fatte oggetto diverse atlete della ginnastica ritmica nazionale», tra cui Giulia Galtarossa. Ha quindi citato una frase eloquente pronunciata tempo fa dalla campionessa (due mondiali vinti nel 2009 e 2010 con il gruppo delle Farfalle):
«Se mi chiedono di riconsegnare le medaglie vinte nella ritmica per riavere la felicità non avrei dubbi: direi di sì. L’esperienza all’Accademia di Desio mi ha rovinato la vita».
Giulia ha quindi raccontato con emozione le sue vicissitudini di ginnasta, arrivata a denunciare gli abusi subiti in quel mondo di cui ha fatto parte per diversi anni (soprattutto dal 2009 al 2016). Ha tenuto a specificare che quella è stata la sua storia «ma non tutto lo sport è così, anzi».
Ricca di spunti ed emozioni è stata anche la testimonianza video che il pallavolista croato naturalizzato italiano – oggi nelle file dell'Olympiakos – Dragan Travica, ha fatto pervenire dalla Grecia. Il fuoriclasse ha parlato di come «lo sport sia scuola di vita» e, se vissuto nel giusto modo, «faccia crescere tantissimo come persone perché spinge a superarsi nel e fuori dal campo».
Prendendo la parola Alessandro Padovan ha messo in luce di come si sia avvicinato al “mondo” dello sport e la disabilità per «scoprirmi e mettermi in discussione. Insegnando tennis a persone in sedia a rotelle mi ha aiutato a vederli come me. Dalla disabilità all’abilità, questo ho sperimentato stando con loro». Per lo sportivo l’inclusione è «entrare un po’ nella vita dell'altro, nei suoi panni».
Infine Mattia Ramina ha messo in evidenza come la malattia che l’ha colpito in giovane età non gli abbia impedito di fare attività fisica ma di come si sia dovuto reinventare in questo. Per lui l’attività paralimpica, a scanso di equivoci, «è al 100% sport» e ha voluto raccontare di quanto lavoro ci sia dietro ai risultati delle competizioni. Ha concluso esprimendo la ricchezza nel fare attività sportiva assieme, per persone fisicamente diverse (come lui e suo fratello).