Confine pericoloso. Tra Venezuela e Colombia, la frontiera calda del conflitto e del narcotraffico
Un reportage da una delle frontiere più calde del pianeta quella tra Venezuela e Colombia, da sempre attraversata non solo dalla gente comune, ma anche da contrabbandieri, trafficanti e guerriglieri. Il racconto "sul campo" di Rina Mazuera, sociologa dell’Università cattolica del Táchira: “Si leggono tante cose – dice al Sir – ma quello che si vede in presa diretta è un’altra cosa”.
Si cerca di uscire dalla povertà e ci si trova in mezzo a una sparatoria. Da una parte la fame, la mancanza di medicine e carburante, il peso della dittatura. Dall’altra un conflitto armato che, nonostante le speranze, non è finito. La somma tra queste due realtà genera terrore, violenze di ogni tipo, estorsioni, tratta, narcotraffico. E’ questa la situazione della frontiera tra il Venezuela e la Colombia, se solo si scava un po’ rispetto all’immagine, già di per sé drammatica, delle lunghe file di venezuelani che (in qualche caso fuggendo in altri facendo la spola) attraversano i ponti internazionali al confine tra i due Paesi.
Violenza e terrore ai due lati della frontiera. Sono vari gli studi che, di recente, hanno gettato l’allarme su quello che sta succedendo in quella che è una delle frontiere più calde del pianeta da sempre attraversata non solo dalla gente comune, ma anche da contrabbandieri, trafficanti e guerriglieri. Un primo report si intitola “Il volto della violenza. Il post-conflitto colombiano e il suo impatto nella frontiera colombo-venezuelana”; è stato promosso dall’Università cattolica del Táchira (Ucat), dall’Osservatorio di ricerche sociali della frontiera e dal Centro Gumilla di Caracas; il secondo studio è un report sulla Mobilità umana in Venezuela, promosso dal Servizio gesuita ai rifugiati (Sjr), dalla stessa Ucat e dal Centro Gumilla. Un terzo lavoro, “Presenza di gruppi armati irregolari in Venezuela”, è stato presentato dall’ong Fundaredes, che ha gettato l’allarme sulla presenza sempre più attiva della guerriglia colombiana in Venezuela e sul reclutamento di bambini soldato. Le tre ricerche sono uscite nelle ultime settimane.
La coordinatrice dei primi due lavori è una sociologa dell’Ucat, Rina Mazuera. Il suo è il racconto di chi opera sul campo, condividendo il passaggio alla frontiera con i migranti, realizzando numerosi interviste, venendo a contatto con situazioni di rischio e di criminalità.
“Si leggono tante cose – dice al Sir – ma quello che si vede in presa diretta è un’altra cosa”.
Dal racconto della sociologa emergono tante chiavi di lettura. Si parte da un racconto che pare banale, e invece già dice molto sulla condizione di chi emigra: “Io ho i capelli lunghi, e ogni volta che attraverso il ponte tra San Antonio del Táchira e Cúcuta, entrando in Colombia, me li devo raccogliere”. Il primo “traffico”, infatti, è quello dei capelli, che molte venezuelane si fanno tagliare i capelli, che vengono rivenduti per farne parrucche.
Poche centinaia di metri, e si trovano molte giovani venezuelane che vendono pane. “E’ una copertura – spiega la ricercatrice – molte sono in schiavitù, sono costrette a prostituirsi.La tratta di persone è la prima conseguenza di questa migrazione massiccia”.
In Colombia è finita la guerra, non il conflitto. Ma l’altro grande fattore, che impatta sulla violenza alla frontiera e nelle zone circostanti, non viene dal Venezuela. E’ il conflitto colombiano, che gli accordi di pace con le Farc non hanno fatto cessare. Lo studio dell’Università Cattolica del Táchira porta numerosi dati ed elementi, rispetto a questa realtà.
E’ finita la guerra, ma non il conflitto, che ha cambiato volto.
I civili continuano a morire, o a essere sfollati. I desplazados, gli sfollati appunto, dalla zona del Catatumbo, che si trova proprio nel dipartimento del Norte de Santander, ai confini con il Venezuela, nel 2018 sono stati quasi diecimila. Il Catatumbo è uno degli epicentri della violenza colombiana. Qui si fronteggiano diversi gruppi, dalle guerriglie dell’Eln e dell’Epl alle bande di narcotrafficanti. “Le sparatorie – spiega la professoressa Mazuera – sono all’ordine del giorno. Ho parlato con venezuelani che fanno la spola tra Venezuela e Colombia. Mi dicono che tutto sommato preferiscono restare in Venezuela, dove soffrono la fame ma non rischiano di venire uccisi. E anche molti colombiani un tempo sfollati nel Paese di confine, anche se oggi spesso sono costretti a tornare indietro, per il futuro pensano di ristabilirsi in Venezuela”.
La guerriglia si riorganizza sotto la protezione di Maduro. I problemi di Venezuela a Colombia, insomma, si sommano e amplificano. La frontiera diventa il luogo di transito di qualsiasi traffico illegale. E il Venezuela di Maduro diventa il luogo dove la guerriglia dell’Eln e i dissidenti delle Farc possono rifugiarsi e riorganizzarsi.
Da tempo, il direttore dell’ong venezuelana Fudaredes, Javier Tarazona, denuncia che gruppi di guerriglieri appartenenti all’Eln o alla dissidenza Farc operano indisturbati in vari Stati del Venezuela, “continuano a fare uso di spazi pubblici e privati, attraverso i quali portano avanti riunioni e incontri strategici”. Varie realtà educative, in particolare, “sono utilizzate da gruppi irregolari colombiani per lo sviluppo di attività di carattere ideologizzante e formativo”. E non mancano i sospetti che nell’ambito di questa attività ci sia in Venezuela il reclutamento di bambini soldati, pratica odiosa che non è ancora stata del tutto sradicata nell’ambito del conflitto colombiano. Riprende la professoressa Mazuera: “Credo di essere stata in tutte le scuole del Táchira. Devo dire che non ho visto reclutamenti, ma ho visto come i ragazzi sono sottomessi rispetto ad alcuni personaggi”.
In questa situazione intricata, assicura però la docente, “non manca la speranza”, data dalla presenza di “una miriade di organizzazioni umanitarie, che cercano soprattutto di creare comunità e di puntare sull’attività educativa e sui diritti e doveri”. Tuttavia, resta la situazione intricata di due Paesi legati a doppio filo, che per motivi diversi non riescono a dare una svolta alla loro storia.