Con il contributo di tutti. Nota politica
La tassazione è sicuramente un tema che riguarda i conti pubblici, ma non in chiave ragionieristica, quanto di attuazione della democrazia
“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. E’ l’art.53 della Costituzione che afferma solennemente questo principio. Siamo nella prima parte della Carta e non, come si potrebbe presumere, nel titolo III, quello dedicato ai “rapporti economici”, bensì nel titolo IV, dove si affrontano i “rapporti politici”. La tassazione è sicuramente un tema che riguarda i conti pubblici, ma non in chiave ragionieristica, quanto di attuazione della democrazia. Il titolo IV tratta infatti del diritto di voto, del ruolo dei partiti e anche – significativamente – del “sacro dovere” di difendere la Patria. Pagare le tasse dovute è una forma di patriottismo, parola usata purtroppo sempre più a sproposito in ambito politico e non solo.
Con queste premesse, un ministro dell’Economia che indica nell’art.53 la “stella polare” del governo nella faticosa ricerca di risorse per la manovra economica – come ha fatto l’attuale titolare del dicastero, Giancarlo Giorgetti – dovrebbe ricevere un plauso unanime. Invece, apriti cielo. I mercati finanziari l’hanno presa malissimo e le borse sono andate giù nella prospettiva che i grandi soggetti economici dovessero pagare più tasse (o semplicemente pagare le tasse…). Ma anche esponenti di spicco dell’esecutivo e dei partiti che lo sostengono hanno pubblicamente e perentoriamente dato l’altolà al ministro. Del resto il tema delle tasse è ostico per quasi tutte le forze politiche ed è un vero tabù per quelle dell’attuale coalizione al governo che – tanto per dire – sta portando avanti a colpi di fiducia l’iter parlamentare del decreto che contiene l’ennesimo condono, cui sono state aggiunte in corsa ulteriori facilitazioni.
L’art.53 della Costituzione, peraltro, andrebbe letto tutto intero e al secondo comma c’è scritto che “il sistema tributario è informato criteri di progressività”. Vale a dire che chi guadagna di più deve pagare percentualmente di più, nel senso che l’aliquota deve aumentare all’aumentare dell’imponibile. Esattamente il contrario di quanto avviene con la politica dei “bonus” e soprattutto con la cosiddetta “flat tax”, che il governo sta cercando di espandere il più possibile. Che poi vengano introdotti parziali correttivi in queste misure non incorrere nelle bocciature della Corte costituzionale sarà anche vero, ma il senso di marcia complessivo non cambia.
Il paradosso è che nonostante tutto l’Istat ha certificato nei suoi dati più recenti un incremento della pressione fiscale, salita nel secondo trimestre al 41,3%, lo 0,7% in più rispetto all’analogo periodo dello scorso anno. E contestualmente è stato rivisto al ribasso il valore della crescita economica, che nelle anticipazioni di settembre era stata calcolata in termini tendenziali (cioè in confronto a un anno prima) a quota 0,9% e oggi invece viene fissata dall’Istat allo 0,6%. Un andamento del Pil che sembra pregiudicare l’obiettivo dell’1% che il governo si era dato nelle sue stime. Ulteriori complicazioni per una manovra economica che deve fare i conti anche con la necessità di limitare gli interventi una tantum e di dare risposte strutturali, non finanziate solo per un anno com’è accaduto spesso finora. Ci sarebbe bisogno del contributo di tutti e soprattutto di chi ha di più. Come recita l’art.53 della Costituzione.