Come deve essere il presidente della Repubblica? Il profilo ideale secondo Luciano Ghelfi, quirinalista del TG2
Non una parola in più (o in meno) di quello che è necessario; non un’azione che non sia quella prevista dalla Costituzione. Questo è il rigidissimo raggio d’azione del presidente della Repubblica italiana, un potere che appunto i padri costituenti hanno voluto di bilanciamento tra gli altri poteri dello Stato. Una figura super partes, a tutela del dettato costituzionale, con poteri suoi ma tutto sommato flebili rispetto al resto della macchina istituzionale: si aveva troppa paura di ricreare nuovi Duce.
Da qui il ruolo un po’ oscuro, ma sovente decisivo, che hanno avuto i vari presidenti che si sono susseguiti da Enrico De Nicola ad oggi. Figure notarili che talvolta sono risultate assai importanti: l’Oscar Luigi Scalfaro che accompagnò il tumultuoso passaggio dalla Prima alla Seconda repubblica; il Carlo Azeglio Ciampi alle prese con il vento secessionista del Nord; il Giorgio Napolitano che chiama Mario Monti alla guida del governo in un momento in cui rischiavamo di fare la fine della Grecia.
Del mite professore di Diritto Sergio Mattarella, fratello del Piersanti presidente della Regione siciliana assassinato dalla mafia, poi non ne parliamo! Eletto nel 2014, dopo i primi anni tutto sommato facili si è trovato a fronteggiare uno tsunami: dapprima politico – il governo Lega-grillini con questi ultimi che chiedevano la messa in stato d’accusa di Mattarella, poco propenso alle loro scorribande simil-sudamericane –; poi sanitario: una spaventosa pandemia virale, il momento più difficile per l’Italia dal 1945 ad oggi.
Se ne stiamo uscendo con le ossa intatte e un governo valido, gran merito va pure a questo ex democristiano che già rimpiangiamo prima ancora che finisca il suo mandato, tra qualche giorno.
Di lui, di altri e di tanto altro parliamo con il quirinalista del Tg2, il mantovano Luciano Ghelfi, decenni di carriera appunto al Quirinale, il palazzo presidenziale che richiede un giornalismo preciso e corretto fino al midollo, e al contempo la capacità di avere quattro orecchie aperte per captare tutto il non detto che gira tra quelle preziose stanze. Un po’ come i vaticanisti, altra categoria giornalistica di stanza a pochi metri dal Quirinale, antico palazzo papale non a caso.
Stessa filologia nel comunicare le precise parole che vengono pronunciate, stessa massima attenzione al “contorno”.
– Ghelfi, che aria si respira a Roma in questi giorni pre-elettorali?
«C’è un’atmosfera di grande confusione, molto nebulosa. Mancano pochi giorni, ma una legge non scritta della politica italiana dice che gli accordi di successo per l’elezione del presidente della Repubblica si fanno proprio a ridosso del voto, se non oltre. Prima, solo manovre diversive e candidature bruciate».
– A quante elezioni ha professionalmente assistito?
«Da quella di Scalfaro nel 1992 in poi. Ma mai ho vissuto un momento così febbricitante».
– Come mai secondo lei?
«Siamo di fronte a un passaggio storico. Siamo anzitutto al centro di una pandemia mondiale, un fatto che ha condizionato le nostre esistenze negli ultimi due anni. Eppoi siamo in un momento di passaggio del sistema politico e istituzionale. È l’ultima volta che il presidente sarà scelto da mille grandi elettori, i parlamentari più i rappresentanti delle Regioni. Il prossimo Parlamento avrà solo 600 eletti, un terzo in meno. E ancora si deve capire come sarà dimensionata la pattuglia degli elettori regionali».
– Tra l’altro siamo quasi alla fine della legislatura...
«Una legislatura complicatissima, abbiamo avuto tre maggioranze completamente differenti, l’ultima delle quali molto composita e con l’etichetta di “governo dell’emergenza”. Chi andrà al Quirinale, si troverà davanti ad un contesto veramente complesso: la necessità di affrontare la pandemia efficacemente; di far procedere gli enormi investimenti del Pnrr; di accompagnare il passaggio dalla Seconda alla Terza repubblica... Auguri».
– Da qui, aspettative enormi. Da cosa partiamo?
«Il primo nodo da sciogliere è quello relativo a Mario Draghi. Solo dopo si può decidere tutto il resto. Rimarrà “solo” presidente del Consiglio? È un candidato alla presidenza della Repubblica? E se sì, chi lo sostituirà e con quale maggioranza parlamentare? Come vede, serve un accordo duplice: Quirinale e Palazzo Chigi. Se non ci si riesce, entrano in scena tutti gli altri possibili candidati».
– Girano tanti nomi...
«Com’è ovvio. Giuliano Amato, Pier Ferdinando Casini, Marta Cartabia... Ci vorrà comunque una figura di altissimo profilo appunto perché i prossimi sette anni saranno da far tremare i polsi».
– E chi parla e invoca una rielezione di Sergio Mattarella?
«Premesso che al Quirinale non ci si candida, ma si è eletti; quindi Mattarella potrebbe tecnicamente essere rieletto, vedo un’obiezione di principio: la sua indisponibilità. Ha più volte sostenuto che sette anni sono un periodo assai lungo e ricordato le chiare prese di posizione di Antonio Segni nel 1963 e di Giovanni Leone nel 1975 contro la rieleggibilità presidenziale. Insomma, niente rielezione (è una prassi che non considera positiva per la nostra democrazia) e pure niente semestre bianco, appunto perché un presidente non rieleggibile deve essere nel pieno dei suoi poteri fino all’ultimo giorno. Un’altra cosa poi».
– Prego.
«Nel discorso di Capodanno agli italiani ha detto: sta finendo il mio ruolo. Ruolo, non mandato. Mattarella è siciliano, usa parole precise e mai a sproposito».
– Si torna al nodo-Draghi.
«Il Parlamento è sfrangiato, la tenuta dei gruppi parlamentari è tenue, per usare un eufemismo. La situazione del più corposo gruppo, quello del Movimento 5 Stelle, è quasi anarchica. Da qui a fare previsioni in anticipo...».
– Diventano centrali i “liberi pensatori”, altrimenti definiti franchi tiratori.
«Ci sono sempre stati. Ho visto “impallinare” Arnaldo Forlani ad un passo dalla sua elezione nel 1992; ho assistito al naufragio della candidatura Prodi causata dai celebri 101 franchi tiratori del suo partito... Questa volta la situazione è ancora più sfrangiata, si mescoleranno valutazioni politiche a interessi prettamente personali: sono pochi i parlamentari che vogliono la fine anticipata della legislatura, per dire».
– Si parlava prima del futuro riassetto istituzionale, che giornalisticamente potremmo definire “passaggio dalla Seconda alla Terza Repubblica”. Passaggio di cui discutiamo da diversi anni, invero.
«Adesso ci siamo. Il taglio dei parlamentari è già stato deciso ed entrerà in vigore con le prossime elezioni, che vedranno pure una nuova legge elettorali, e sappiamo che sono le leggi elettorali a creare la situazione politica e l’offerta dei partiti. Il maggioritario spazzò via la Prima repubblica e molti partiti».
– Per chiudere. Ha visto da vicino quattro presidenti. Qualche ricordo (che si può raccontare)?
«Ho trovato aspetti molto positivi in tutti i presidenti che ho conosciuto. Tra tutti, ricordo il Ciampi che ha solidificato l’identità laica e repubblicana dello Stato italiano in un momento in cui si parlava di divisioni e di secessione. E l’enorme lavoro fatto da Mattarella in questi ultimi due anni. Credetemi: veramente pazzesco. Dobbiamo essergliene grati».