Città che vai, batterio che trovi. Ognuna ospita una propria popolazione di batteri, virus e archea ("batteri antichi") caratteristica
Gli studiosi hanno analizzato campioni ambientali (aria, superfici varie, ecc…) provenienti da ben 60 città di tutto il mondo.
Paese che vai, usanza che trovi. Ma non solo. Sapevate, per esempio, che vale anche la parafrasi “città che vai… microbioma che trovi”? Proprio così: sembra che ciascuna area urbana ospiti una propria popolazione di batteri, virus e archea (“batteri antichi”) del tutto caratteristica, una specie di “firma biologica” che la rende riconoscibilissima e originale!
Questo curioso dato è riportato da un recente studio (pubblicato sulla rivista “Cell”), condotto da un gruppo di ricercatori della University of Maryland School of Medicine (Baltimora, Usa), guidati da Christopher Mason. Per giungere a queste conclusioni, gli studiosi hanno analizzato campioni ambientali (aria, superfici varie, ecc…) provenienti da ben 60 città di tutto il mondo; questi erano stati prelevati durante i tre anni precedenti alla pandemia di COVID-19, contribuendo così a formare quello che, di fatto, rappresenta fino ad oggi il primo catalogo mondiale sistematico dell’ecosistema microbico urbano.
In generale, va sottolineato come da sempre, per i microbiologi, le aree urbane costituiscano un ambiente di grande interesse, dal momento che in tali contesti le persone interagiscono con i microbi in modi che possono essere notevolmente diversi rispetto a quanto avviene nelle aree rurali. Ad esempio, organismi patogeni presenti negli ambienti con una forte “antropizzazione” sono stati indicati come possibili fonti di contagi, mentre altre ricerche evidenziano come alcune sindromi (prime fra tutte quelle legate alle allergie) siano inequivocabilmente correlate alla crescente urbanizzazione.
In realtà, Mason e colleghi avevano iniziato le loro ricerche in questo campo già nel 2013, con un primo studio che prevedeva la raccolta e l’analisi di campioni nella metropolitana di New York. La scelta era dovuta ad un dato di fatto evidente: le aree di transito urbane sono il luogo in cui milioni di persone vengono quotidianamente in contatto reciproco, facilitando così l’interazione tra i microrganismi “commensali” (che vivono nel nostro organismo) con quelli che vivono nell’ambiente.
I risultati preliminari ottenuti, pubblicati su varie riviste scientifiche, avevano quindi suscitato un notevole interesse da parte dei ricercatori di tutto il mondo, invogliati così ad effettuare studi simili nelle loro città. A tal fine, Mason e il suo gruppo hanno elaborato un protocollo standardizzato di raccolta dei campioni e lo hanno divulgato su YouTube con un video didattico. Ciò ha permesso l’attivazione di una catena sperimentale internazionale che ha consentito al team di Mason di collezionare ben 4.728 contributi da tutti i continenti; questi dati sono stati poi caratterizzati dal punto di vista genomico grazie alla potente capacità di calcolo del supercomputer XSEDE (Extreme Science and Engineering Discovery Environment) di Pittsburgh, negli Stati Uniti. Risultati? L’analisi ha portato alla scoperta di 10.928 virus e 748 batteri finora sconosciuti alle banche dati di riferimento, oltre all’evidenza, per ogni sito di raccolta, di una composizione delle diverse specie in gran parte caratteristica e singolare. “Ogni città – spiega Mason – ha la sua ‘eco molecolare’ dei microbi che la definiscono. Se analizzassi la scarpa di una persona, potrei prevedere la città del mondo da cui proviene con un’accuratezza del 90 per cento circa”.
Va però anche ricordato che esiste un piccolo insieme di microrganismi comune a quasi tutti i siti di raccolta: si tratta di 31 specie, presenti nel 97% dei campioni di tutte le città considerate. Ad uno sguardo complessivo, risalta comunque l’enorme diversità microbica, in gran parte sconosciuta, presente sulla Terra. “Ci sono milioni di specie sulla Terra – aggiunge Mason -, ma attualmente abbiamo un riferimento genomico completo e solido solo per 100.000-200.000 di esse”.
Di sicuro, la scoperta di nuove specie del microbioma può essere utile per determinare le correlazioni tra le diverse specie e delineare così alberi filogenetici più precisi nel campo della microbiologia, evidenziando anche i processi evolutivi dei vari ceppi. Ma un risvolto molto più pratico riguarda poi la salute pubblica: una conoscenza più completa delle specie microbiche urbane, infatti, permetterebbe in linea di principio di rilevare focolai di infezioni, nonché di studiare la prevalenza di microbi resistenti agli antibiotici in diversi ambienti.