Centri aggregativi per i giovani? Troppo pochi, anche prima del Covid
I dati di Openpolis mettono in luce la carenza di luoghi e contesti per la socialità dei ragazzi, fin da prima della pandemia. Nel 2019, solo un giovane su 3 vedeva gli amici tutti i giorni: il 30% in meno rispetto al 2005. Preziosi, ma pochi, i centri aggregativi: 11,3 utenti ogni mille residenti sotto i 18 anni in Italia. Va peggio al sud, ma Palermo fa eccezione: 38 utenti ogni mille residenti
E' allarme socialità, soprattutto per gli adolescenti: il loro isolamento e il malessere che ne deriva sono sotto gli occhi di tutti soprattutto dall'inizio della pandemia, facendo comparire spesso sulle pagine dei giornali dati preoccupanti riferiti a disagi fisici e psicologici che non di rado assumono forme estreme, come gli atti di autolesionismo o i suicidi. La socialità dei giovani, però, è entrata in crisi ben prima della pandemia, colpa anche della scarsità e insufficienza di spazi e contesti aggregativi. A metterlo in luce, oggi, è il rapporto di Openpolis su “Politiche giovanili e centri di aggregazione in Italia”, che da un lato ripercorre la storia di questa crisi, dall'altro mette a fuoco la carente e diseguale diffusione di spazi per la socialità, fondamentali anche per il contrasto alla crescente povertà educativa.
Dal 2005 a oggi, socialità dimezzata
Nel 2019, già prima del periodo pandemico, le indagini Istat sull’uso del tempo libero mostravano come poco più di un terzo dei giovani vedesse i propri amici tutti i giorni, un dato in calo di circa 30 punti rispetto a 15 anni prima. Mentre circa un adolescente su 10 li incontrava meno di una volta a settimana, e oltre il 13% dichiarava di essere poco o per nulla soddisfatto del proprio tempo libero. Nel corso degli anni la quota di bambini e ragazzi che, nel tempo libero, vedono i propri amici quotidianamente è drasticamente diminuita. Per alcune classi di età, ad esempio quella 11-14 anni, si è dimezzata, ma il calo è consistente anche nella fascia 6-10 anni (da 63,6% a 34%) e in quella 15-17 (da 72,2% a 39,1%). Ancora, nel 2005 oltre il 70% dei preadolescenti (11-14 anni) vedeva i propri amici con frequenza quotidiana. Tale quota è progressivamente scesa fino al 34,3% attuale. Addirittura, c'è uno 0,8% dei giovani tra 11 e 14 anni che non vede mai i propri amici nel tempo libero, mentre un ulteriore 1,9% li frequenta solo qualche volta all'anno. “Dati su cui è presumibile abbia avuto un impatto decisivo la diffusione delle nuove tecnologie”, si legge nel rapporto.
I luoghi di ritrovo, preziosi ma pochi
Per la socialità, però servono luoghi e contesti: ed è questo che manca, a quanto risulta anche dal rapporto del Centro nazionale di documentazione per l'infanzia e l'adolescenza, Essere ragazze e ragazzi nelle città riservatarie della Legge 285/97: la voce dei protagonisti (2019). Nelle risposte delle ragazze e dei ragazzi intervistati emerge infatti la domanda di luoghi di ritrovo, centri per i più giovani dove praticare sport e partecipare ad attività ed eventi culturali. Interpellati rispetto alle attività che gradirebbero se nelle prossimità di casa fosse aperto un centro per adolescenti, il 45% dei ragazzi di entrambi gli ordini scolastici vorrebbe attività sportive, e poco meno di un ragazzo su tre vorrebbe corsi creativi (teatro, pittura, fotografia, cucina, ecc.) o concerti. Dati che indicano la necessità di valorizzare sempre di più, a maggior ragione in una fase di uscita dall'emergenza pandemica, il ruolo dei luoghi di aggregazione a disposizione sul territorio. A partire dai centri di aggregazione giovanile.
I centri di aggregazione degli anni '80-'90, quasi “ghetti”
C'è però un pregiudizio da sfatare: i centri di aggregazione giovanile non sono solo per le categorie cosiddette a rischio. Eppure, “sono stati spesso considerati alla stregua di luoghi di raccolta di giovani in difficoltà – si legge nel rapporto - Riservati esclusivamente alla cura delle marginalità e delle devianze presenti nelle periferie urbane. Un punto di vista dettato anche dalla genesi legislativa delle politiche giovanili in Italia. A fronte di enti locali spesso già molto attivi sul tema, il legislatore nazionale si è infatti occupato di 'questione giovanile' soprattutto a partire dagli anni '80-'90. E lo ha fatto sulla scorta di un dibattito pubblico concentrato principalmente sulle emergenze del periodo, in particolare droga e criminalità. Lo testimonia il fatto che i primi provvedimenti ad occuparsi di politiche giovanili rientrino nell'ambito del Dpr 309/1990 (testo unico in materia di stupefacenti) e delle leggi 45/1999 (fondo nazionale per la lotta alla droga) e 216/1991 (primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose). Questo approccio, calato sui centri di aggregazione, risulta fortemente ghettizzante”. Al contrario, il centro di aggregazione giovanile deve essere valorizzato e “inquadrato in una prospettiva più ampia, come presidio insostituibile nelle politiche di contrasto della povertà educativa”.
I centri aggregativi sul territorio
Il rapporto analizza quindi, con l'ausilio dei dati Istat sull'uso del tempo libero tra i minori e di quelli sul numero di utenti dei centri aggregativi degli enti locali, il radicamento territoriale dei centri di aggregazione, in particolare a partire dalla legge 285/1997 che, “nello stanziare risorse per questo scopo, grande attenzione viene dedicata ai servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero”. Analizzando solo i dati relativi agli anni più recenti, Openpolis riferisce che nel 2018, oltre 100mila persone hanno usufruito di questo tipo di servizi: ovvero, 11,3 utenti dei centri di aggregazione ogni 1.000 residenti sotto i 18 anni in Italia.
La diffusione di questi centri è tutt'altro che omogenea: essi sono maggiormente diffusi nel nord-est, con 26,4 utenti ogni 1.000 minori residenti. Un dato che supera di gran lunga la media italiana e anche quello delle altre macroregioni. Le isole (11,6) e il nord-ovest (10,5) mostrano un rapporto maggiormente in linea con quello nazionale rispetto al centro (8,1). Nel sud sono solo 2,4 gli utenti ogni 1.000 residenti sotto i 18 anni. n parallelo alla maggiore concentrazione nel centro-nord del paese, è interessante anche osservare i gap interni alle regioni meridionali. In Puglia si segnala il dato di Brindisi (16,8). In Calabria e Campania invece nessuna realtà locale supera la media nazionale. Nella prima è la provincia di Catanzaro a mostrare il rapporto più elevato (7,2). Nella seconda è Caserta, con appena 3 utenti ogni 1.000 minori. Fa eccezione Palermo, un caso del tutto particolare, con 34,8 utenti per 1.000 residenti 0-17 anni.
Chiara Ludovisi