Casa Sabotino, un porto franco per una nuova partenza

DONNE SENZA DIMORA  Al momento nella casa vivono 18 donne tra i 20 e i 77 anni, provenienti da 14 Paesi diversi. Qui ognuna comincia un percorso tagliato su misura

Casa Sabotino, un porto franco per una nuova partenza

Esistono luoghi dove è possibile ricucire con tranquillità anche i fili della propria vita. Casa Sabotino è la casa per sole donne di Binario 95. Anzi, come si legge sul sito Internet, la casa dedicata all’accoglienza di genere: un progetto per donne fragili, cisgender e transgender, accolte con una modalità nuova in un percorso orientato all’autonomia, alla crescita personale, all’inserimento lavorativo. Inaugurata nel dicembre 2020 e situata nel quartiere borghese di Prati, a poche centinaia di metri dalla sede Rai di Viale Mazzini, Casa Sabotino colpisce subito per la luminosità e la gradevolezza degli spazi. Si tratta di un grande appartamento, concesso in comodato d’uso dal Primo Municipio e arredato in stile moderno e funzionale grazie a una donazione di Ikea, che oggi, dopo grandi lavori di ristrutturazione, può ospitare fino a 18 persone in camere singole, doppie e triple.

La Casa ha una pianta a ferro di cavallo, con il lato centrale che affaccia su un ampio terrazzo, ha bagni accessibili, una lavanderia e una bella e comoda cucina attrezzata, il sogno di chiunque ami dilettarsi ai fornelli. Casa Sabotino è un luogo sicuro per chi arriva dalla vita di strada, ma anche semplicemente per chi non ha un posto dove stare. È un porto franco dove riprendere fiato prima di rimettersi in cammino. È una scommessa per chi per andare avanti deve cambiare innanzitutto l’immagine che ha di se stessa. “Al momento ci sono 18 donne tra i 20 e i 77 anni, provenienti da 14 Paesi diversi –  dice la coordinatrice Fulvia Vannoli –. Qui ognuna comincia un percorso diverso, tagliato su misura, nessun percorso somiglia ad un altro”. Quando una donna mette per la prima volta piede nell’appartamento, di solito, è stanca e sfiancata. Non si fida di nessuno, tanto meno delle nuove coinquiline e delle operatrici dell’équipe multidisciplinare che porta avanti il progetto. “Nei primi 15 giorni non le viene richiesto nulla, deve immergersi nella vita della comunità facendo quello che preferisce. Stando in una condizione di bellezza e serenità si può ricominciare a desiderare, perché è solo se si recupera il desiderio che si possono rimettere insieme i pezzi per intraprendere un percorso nuovo”.

Sono oltre 20 anni che Fulvia Vannoli lavora con le persone senza dimora. Ha cominciato affiancando gli operatori di strada brasiliani a Rio de Janeiro e Salvador de Bahia, cita la Pedagogia del Desiderio di Paulo Freire. È convinta che il suo compito non sia quello di salvare le donne che passano per Casa Sabotino, bensì di offrire loro una possibilità. E che il bello di un luogo come questo sia proprio la magia che nasce dalla straordinaria capacità delle donne di sostenersi a vicenda, nonostante le poche cose in comune. “La vita sulla strada per una donna è durissima – dice –. Non ci sono solo i pericoli, le violenze, gli abusi, la dipendenza dagli uomini che possono aiutarti, c’è anche la questione dell’igiene: come si fa ad andare al bagno, a gestire il ciclo? Per un uomo è tutto più semplice”. Fortunatamente non tutte le donne che passano per Casa Sabotino hanno conosciuto la vita in strada, alcune ne hanno soltanto intuito il pericolo nel momento in cui le certezze che avevano sono venute a mancare. A volte si tratta di situazioni paradossali, come nel caso di Beatrice che viene dalla Sierra Leone, ha 72 anni, un aspetto curato e maniere garbate. Beatrice è arrivata in Italia nel lontano 1978 e ha alle spalle un lungo passato come colf e bambinaia. La sollecitudine dei suoi connazionali è stata di fondamentale importanza quando, dopo essere stata derubata di una borsa contenente la totalità dei documenti, si è ritrovata di colpo senza un’identità dimostrabile e, soprattutto, senza la possibilità di ritirare la pensione. Mentre gli operatori dell’Help Center tentavano di rimettere in moto la macchina burocratica che le dovrebbe consentire di accedere all’assegno mensile, lei non riusciva a pagare l’affitto. E così ha perso la casa e, con essa, la tranquillità che dovrebbe accompagnare una donna alla fine di una vita di lavoro. “Qui mi trovo bene, è come una famiglia”, è una delle poche cose che riesce a dire nel suo italiano stentato.

Marcela condivide la stessa sensazione. Racconta che nelle prime notti a Milano, quando l’uomo che l’aveva invitata in Italia dalla Colombia e l’ospitava in casa propria le intimava di andarsene via e lasciare l’abitazione, lei ha provato a chiedere aiuto. Racconta che per trovare una via d’uscita avrebbe dovuto denunciare l’uomo con cui aveva una relazione, ma lei non se l’è mai sentita. Racconta anche che come persona in transizione non poteva stare né con gli uomini né con le donne, non c’era nessun un luogo per lei. Dopo essere arrivata a Casa Sabotino, lo scorso gennaio, ha cominciato un percorso psicologico, ha potuto riprendere l’iter di transizione di genere interrotto nel momento in cui ha lasciato la Colombia e oggi, grazie alle operatrici del Centro, è seguita dai Servizi specializzati della Capitale. Ha fatto anche richiesta di protezione internazionale ed è in attesa di una risposta. E ora? “Qui mi trovo bene, parlo con quasi tutte le donne della casa – dice –. Ma voglio il permesso di soggiorno, trovare un lavoro e riprendere in mano la mia vita”.

So che la strada davanti a me è ancora lunga e io sono stanca e affaticata, ma so anche che devo andare avanti e non devo mollare. Finora me la sono sempre cavata da sola, ho lavorato sodo e ho avuto tutto quello che volevo

L’ultima voce di questo viaggio sotto il cielo di Roma è quella di Natalia. Questa volta il nome è quello vero, perché lei non ne ha voluto usare uno di fantasia. Polacca, 48 anni, vive nella Capitale da quando di anni ne aveva 11. È una dura Natalia o, almeno, così si presenta. Fino all’arrivo del Covid lavorava come commessa in un negozio di abbigliamento, guadagnava bene, abitava da sola, aveva un’automobile. Non le mancava nulla. Non è semplice comprendere per quali traiettorie e imprevisti della vita sia finita senza un posto dove stare. Sicuramente la pandemia non ha aiutato.

Racconta Natalia che, quando i negozi cominciano a chiudere per via dell’emergenza sanitaria, lei inizia a fare l’assistente familiare in giro per l’Italia. Dove la chiamano lei va, ora qui ora lì. Non ha più un appartamento e, quando torna a Roma, dorme da amici. Un giorno, di ritorno da una di queste trasferte, alla Stazione Termini le rubano tutto. Racconta Natalia che senza soldi né cellulare si trova letteralmente in mezzo a una strada. Non può chiamare nessuno in soccorso e neppure pagarsi un taxi o un hotel. Ad agosto 2022 si trova a dormire nell’ostello della Caritas di Via Marsala. Non è abituata, ci soffre. Se si veste in maniera più curata, i maschi commentano. Ha paura, cerca di passare inosservata. Vede altre donne che dormono sulle panchine e tira un sospiro di sollievo che, per il momento, la stessa sorte non sia toccata anche a lei. Trova un lavoretto di una ditta di pulizie, ma si tratta di poche ore a settimana. “Era tutto difficile, come in un film horror – dice –. Non avrei mai minimamente creduto che una cosa del genere potesse succedere a me”. Qualche settimana dopo è a Casa Sabotino, all’inizio è difficile, non si lascia avvicinare da nessuno. Ora, invece, è contenta. Ha trovato anche un impiego come commessa, al momento è in prova, ci sono tante cose che non la convincono, ma questo lavoro le serve e non si lamenta. “So che la strada davanti a me è ancora lunga e io sono stanca e affaticata, ma so anche che devo andare avanti e non devo mollare. Finora me la sono sempre cavata da sola, ho lavorato sodo e ho avuto tutto quello che volevo”. Come Yumalay, Magda, Beatrice, Tina, Marcela, anche Natalia è in viaggio verso il proprio futuro. Se questo porterà loro ciò che desiderano non è possibile dirlo in anticipo. D’altra parte Casa Sabotino non è una meta, ma una stazione di sosta, dove le donne che hanno subito l’inciampo di perdere la casa possano raccogliere le forze e ripartire con una nuova consapevolezza su un treno che parte proprio dal Binario 95.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)